Dediche: Joe Brainard- I Remember


Joe Brainard – Tuesday, February 18th, 1971 (1 )

[Note: = brief pause]
Tuesday
February 18th
[silence]
[sniff, inhalation]
being as vain as I am
I’m surprised ‘ that I’m not horrified
by all the white hairs I keep finding in my hair these days
but I’m not
I just yank them out
[audience laughter]
which means
perhaps
that I’m not going to grow old very gracefully
[more audience laughter]
& that I may go bald before I go grey
[more audience laughter]
[room falls silent]
today was a beautiful day outside
but I spent it in
doing drawings of Ted
Ted Berrigan
one is a good drawing
but doesn’t look much like Ted
and the other one
looks a lot like Ted
but isn’t such a good drawing
[silence]
then after Ted left
I worked some on the new “I Remember”
ate an apple
and began writing this
and now it is beginning to get dark already
another day gone
before you know it
and that’s the way I like it

Joe Brainard – Martedì, 18 Febbraio, 1971

[Note – Breve Pausa]

Martedì
18 febbraio
[silenzio]
[ tira su col naso]
Vanitoso come sono
Sono sorpreso di non inorridire
Di tutti i capelli bianchi che mi sto trovando in questi giorni
Non lo sono
Semplicemente li strappo via
[risata del pubblico]
Che significa
Forse
Che mi sto avviando a diventare vecchio non con un bell’aspetto
E che forse potrei diventare calvo prima ancora d’invecchiare
[ risate ancora più forti del pubblico]
[cade il silenzio nella stanza]

Oggi era una splendida giornata
Ma io l’ho trascorsa al chiuso
Facendo dei ritratti a Ted
Ted Berrigan
Uno è un buon disegno
Ma non somiglia a Ted
L’altro somiglia molto a Ted
Ma non è così buono
[silenzio]
Poi quando Ted è andato via
Ho lavorato un po’ al nuovo “I Remember”
Ho mangiato una mela
E ho iniziato a scrivere questo

E ora sta iniziando già ad imbrunire

Un altro giorno è andato
prima che me ne sia reso conto
ed è questo il modo che mi piace

Ricordo una volta, all’inizio della scuola, ero una bambina, che in aggiunta al corredo scolastico, ogni anno rinnovato ma sempre lo stesso, (una penna rossa, una penna blu, una matita, una gomma, dodici matite a colori, quattro quaderni a righe e due a quadretti, un temperamatite, un righello e un album da disegno) mi fu comprato anche un album per il collage particolarmente ricco di colori. L’album aveva fogli in cui le tinte lucidissime degradavano in due, a volte tre tonalità e questo già bastava a renderlo degno di ammirazione, ma ad impreziosirlo ulteriormente era la presenza di due pagine che solitamente non c’erano in quel tipo di album.

Ricordo che di queste due pagine andavo particolarmente fiera perché tutte le altre bambine della mia classe(ricordo che le classi erano divise in quelle dei bambini e in quelle delle bambine) me le invidiavano. Ricordo che una era oro e l’altra argento.

Ricordo che ero una bambina timida e introversa e questo, per qualche motivo, mi rendeva impopolare, ma ricordo come quell’isolamento avesse un altro sapore quando passava attraverso gli sguardi colmi di invidia delle mie compagne, che a volte si spingevano, cedendo, fino alla adulazione pur di convincermi ad usarle.

Ricordo che quelle due pagine rimasero intatte per lungo tempo, un po’ per prolungare quel refolo d’ammirazione che percepivo ogni volta che nell’ora dedicata al disegno tiravo l’album fuori dalla cartella, e un po’ perché in quei disegni infantili fatti di casette con i tetti rossi e cieli azzurri e chiome di alberi verdi e perfettamente tondi, l’oro e l’argento non trovavano un posto.

Ricordo che poi fu la scoperta della notte, la luce delle stelle, l’accendersi della luna, quel silenzio tagliato d’oro e d’argento a dare a quelle due pagine il loro spazio.

Ricordo quando le forbici incisero la forma curva della luna nell’oro. Ricordo come il suo vuoto e quel momento mi erano sembrati solenni.

Ricordo questo, colori vividi e netti e mondi immaginari dove i fiori sfioravano la punta aguzza dei tetti, mondi disabitati dove le finestre avevano sempre i battenti verdi e chiusi, ma inspiegabilmente davanzali fioriti, mondi un po’ tutti uguali come se nascessero da un unico immaginario pescato chissà dove poiché nessuna delle nostre case si assomigliava a quelle che ritagliavamo.

Ricordo poi i primi tentativi di popolare quei mondi. C’erano solo buffe bambine alte come alberi. Avevano la gonna fatta a triangolo, e le trecce gialle che come due stecchi sembravano uscire dalle orecchie.

Ricordo l’odore della colla Coccoina, così buono e profumato da sembrare orzata rappresa. Ti veniva voglia di mangiarla. Non ricordo ma non è detto che non l’abbia fatto.

Ricordo la punta del naso che inevitabilmente si sporcava di colla nel tentativo di annusarla da più vicino.

Ricordo l’ebbrezza di maneggiare le forbici, strumenti il cui uso ci era di solito proibito.

Ricordo minuscole costellazioni di colori sul gres opaco della classe anche se la maestra minacciava di punirci se non avessimo fatto attenzione a non sporcare il pavimento con i ritagli.

Ricordo che anni dopo, ero alle medie, l’insegnante di disegno disapprovò l’ardire delle mie prospettive nei miei primi tentativi d’imitare le linee scomposte delle vecchie case delle paese.
Ricordo l’insufficienza che ricevetti e queste case sono tutte storte con cui l’insegnante giustificò il voto. Ricordo che non protestai ma ci rimasi molto male. Non ricordo ma posso supporre che forse sì, piansi.

Ricordo che fu quella una delle prime volte, forse la prima, in cui mi s’insinuò il dubbio che potessero esserci insegnanti piccoli e mediocri, e anche che l’età adulta era a volte soltanto un potere malriposto.

Ricordo che ero convinta che avendo avuto un bisnonno e un nonno pittori avevo buone probabilità di esserlo anch’io. E che quell’insegnante non capiva niente. Per molte notti sognai di diventare una famosa pittrice, solo per vendetta nei suoi confronti. A volte mi succede ancora. Quando mi sembra di essere una grande poetessa ingiustamente incompresa.

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Cormac McCarthy: Il grigio della strada

strada.jpg

“Uscì fuori nella luce livida, rimase lì in piedi e per un attimo vide l’assoluta verità del mondo. Il moto gelido e spietato della terra morta senza testamento. L’oscurità implacabile. I cani del sole nella loro corsa cieca. Il vuoto nero e schiacciante dell’universo. E da qualche parte due animali braccati che tremavano come volpacchiotti nella tana. Un tempo e un mondo presi in prestito e occhi presi in prestito con cui piangerli”

Le sette e trenta del mattino e sono in piedi da un po’. Vado di fuori, lì in terrazza. E guardo il mare.
È di un blu tenero, appena sveglio. Bassi volano tre, forse quattro gabbiani. Forse più. Bianchi. Che a tratti svuotano l’azzurro del mare. S’intrecciano nel volo. Non riesco a contarli.
Il corso principale è ancora addormentato. Poi di corsa uno, due tre ragazzi. Dietro di loro una ragazza. I capelli lunghi sciolti. Corrono. L’ultimo autobus per andare a scuola è già lì, alla fermata. I passi impattano sull’asfalto con forza. Hanno il rumore di un giorno appena scartato dal buio.
Il mondo è in ordine. Continua a leggere “Cormac McCarthy: Il grigio della strada”

Elogio alla pigrizia

Quanto più bello sarebbe il mio  corpo fermo
la schiena che disegna geometrie di pieghe e
oscure grafie di segni sul cuscino
             senza strategie né pensieri.
Puntare pigramente con lo sguardo il
Paul Verà sulla parete
assecondare mollemente la sua astuzia
di abbandonare ad altri, alla
bonheur il fare del tempo, e allora
quanto più bello sarebbe amarti
solo nel volo del respiro
come un’ape pigra
                      essere dell’amore e della poesia
il controsenso e, senza energia animale,
starmene nell’approssimazione delle intenzioni
essere il vizio sdraiato nell’indefinito, la massa sul margine
di una particella elementare, essere il prima  prima del poi
la calma, prima del vagolare dei protoni, prima del caos,
prima delle stelle
prima del big bang dei pianeti dei buchi neri
essere Pangea, la stasi
prima della deriva, prima di qualsiasi incontro
essere ancor prima della dimensione inesplorata delle stringhe e allora
quanto più bello sarebbe scriverti questa poesia
                                                                  –
domani
respirarla ora soltanto nell’inerzia che arriva nei polmoni
come aria ferma
                           –
domani
starmene immobile

nel prima del sopravvivere al disastro di quello che di te oggi rimane

 

La pioggia

Si aspetta la pioggia.

E la pioggia arriva. Senza margini.

A lungo ignorammo l’ardire rosso di una foglia,

il garbuglio del mare che scopriva la finta giovinezza delle ore.

Senza margini la pioggia si portava via l’oro del tempo

in cui avevamo lasciato sbiadire l’affanno, noi invincibili eroi

ci scoprivamo affamati di tenerezza e verità, nuovamente

soli nel vizio dell’inverno.

da Notturni: La finestra di un inverno

La finestra di un inverno

Ho un conto lasciato aperto
un debito insoluto
avrei dovuto farne un museo di quelle quattro mura
avrei dovuto lasciare note sulle pareti
illuminate dall’eternità di piccole luci – la notte senza il buio,
la finestra di un inverno, fuori di qui la scheggia inutile dell’universo-
cose così
brevi ed oscure
e la gente entrando avrebbe subito compreso
che qui l’amore non aveva avuto vie di fuga
ora quando di sera alzo lo sguardo
verso le sue cornici di adesso
anodizzate,
dorate, come se fossero sempre in festa
dietro la banalità delle tendine inamidate
c’è l’arroganza di una luce che non mi so spiegare
– come fa ad esserci ancora vita
– dopo il finito di tanto amore? –

La Dimora del Tempo Sospeso: “Terramare”

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Era il lontano 2012 quando “Terramare” fu accolta da una piccola ma molto seria casa editrice per una pubblicazione. Sarebbe stata la mia prima e di certo per me un bel traguardo, suppongo…
In realtà da quel lontano giorno iniziò una serie di rinvii dovuti a programmazioni già in corso attraverso le cui maglie “Terramare” scivolava sempre come acqua dalle maglie di un setaccio.
Oggi “Terramare” ha la sua Dimora. Ne sono felice. Grazie M.S.

  Terramare

Da Terramare: Intras’acta

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L’inverno qui non è una stagione, è un improvviso,
è come quando si dice “intras’acta”
e il cielo allora si schiaccia sulla collina
e il mare si rigira inquieto

Sotto il paese resta, le voci sono il suo sonno
mentre l’ovunque diventa un sogno di chissà quale mattino
svanito
nell’attesa dell’inizio del secondo atto.

Nessuno ancora se n’è accorto.

Tips For Artists

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Visti i lunghissimi intermezzi che da tempo separano un post dall’altro è chiaro che la mia fiducia e/o il mio interesse per la rete va ormai scemando. Purtroppo l’opportunità che essa potesse rappresentare un luogo di scambio onesto è sempre più vanificata. Vige invece la corsa alla costruzione di monumentali ego e non importa se per conquistare il proprio piedistallo si debba ricorrere all’adulazione o all’epiteto o allo scherno, o peggio ancora alla disonestà. È più semplice, si sa.
Eppure continuo a stupirmi della frequenza di certe “pratiche” , continuo a stupirmi e dispiacermi ed incazzarmi, e senza intraprendere pericolosi discorsi sui diritti d’autore, plagi etc, in cui chi ha torto finisce sempre col cadere in piedi, dico solo  che ciò che continua ad accadere (ancora una volta ne è vittima il poeta Francesco Marotta) è indegno, è totale mancanza di rispetto del lavoro altrui, mancanza ancora più deplorevole se questo lavoro ha le uniche radice nell’amore verso la poesia.
Indignarsi? che tale perdita di tempo! non serve, vero? Su, torniamo a scrivere le “poesie”, a capo chino.

da Mai dire Mai: Scrivi all’autore

scrivi all'autore

a m.a.
caro marco, ti ho cercato
per rimediare ad un incontro che
non è mai stato
ti ho cercato ma è stato invano
scrivi all’autore però è scritto
e allora io prendo carta e penna e
faccio come in quella poesia
ti tocco come fece il vino
dentro la tua bocca, ti tocco
io viva e tu morto, ti tocco
con questa eternità spicciola
che a volte tesse la parola
lo sai , caro marco, che qui tutto è cambiato
eppure tutto é rimasto lo stesso:
sul lungomare le palme sono crollate
ad una ad una divorate , vinte
come lo siamo noi
che come allora ci facciamo l’un con l’altro muro
ora ci basta compiacerci fino a creparci
sostituendoci alla furia degli insetti,
noi però restiamo in piedi, come pupazzi,
e convinti di averla avuta vinta sul vento e sul tempo Continua a leggere “da Mai dire Mai: Scrivi all’autore”

Un poeta leggerà una poesia per te

cafè cafè cafè- m.cimini

Non ho mai ben compreso gli intenti dei cosiddetti tq, non completamente, e non so se abbiano inciso un segno o se quelle intenzioni siano poi naufragate del tutto, ma anche senza voler entrare nel merito delle polemiche che hanno accompagnato il movimento fin dal suo nascere non posso negare categoricamente che chiunque scriva non abbia dovuto, negli ultimi tempi, confrontarsi, nel bene e nel male, con questa “generazione entrante”.

Il movimento, infatti, se ha il merito di aver dato una accelerazione al solito lunghissimo iter di sdoganamento delle nuove voci in ambito letterario ha anche creato come una sorta di aura intorno alle stesse investendole di una capacità interpretativa della realtà e di una connessione con la stessa come se fossero le uniche possibili. Alle giovani voci si é attribuito una contemporaneità i cui canoni però sono sembrati a volte definirsi ancor prima del suo compiersi, come se la realtà potesse presentarsi conseguente alla teoria. Ciò, come c’era d’aspettarsi, ha generato non poche “turbolenze” fra i sostenitori della generazione entrante , quella uscente e inevitabilmente anche fra coloro che a torto o a ragione non erano stati considerati appartenenti né all’una né all’altra categoria.
Ma quello dei TQ almeno ha rappresentato un tentativo, forse con troppe risposte premature e poca attenzione alle domande.

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Ma poi come è andata a finire con “Gates”?

Gate

Era Marzo del 2012, e “Gates” lo avevamo lasciato pressappoco qui. Nell’  Aprile successivo ebbi modo di partecipare ad un workshop di scrittura con Giulio Mozzi. In quella occasione a fine di una delle giornate di lavoro, e davanti ad un bicchiere di vino,  Giulio trovò tempo per parlare  con me di “Gates”. In realtà la nostra conversazione si mantenne su un piano generico: io gli parlai delle mie esperienze con i pochi editori da me contattati, lui mi ribadì  ciò che mi aveva già accennato via e-mail e cioè che per quanto belli quei testi difficilmente avrebbero potuto trovare una veste editoriale, ma si poteva tentare, magari cercando  qualche soluzione –lavoraci un po’ e poi mi spedisci il tutto, magari  potremmo poi incontraci a Milano per discuterne. Continua a leggere “Ma poi come è andata a finire con “Gates”?”

da 52 Parole Poetiche: Foglia

John_Register

[…]Oh! lift me as a wave, a leaf, a cloud! I fall upon the thorns of life! I bleed![…]

Percy Bysshe Shelley – da “Ode to the West Wind”

C’era la foglia. L’ultima. Come un segnale, come un ammonimento, come una bandiera, come un’indicazione, come un richiamo, come un avvertimento, come un vessillo, come un appello, come una traccia, come un segno, come un monito, come un simbolo, come un annuncio, come un presagio, come una minaccia, come una voce. L’ultima. Poi si staccò. Nel nulla dell’aria tracciò un volo leggero e scomposto, un attimo dopo si era già unita al silenzio della terra. Cosa era?

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Azzurro e Rosa

Jeanne Hébuterne- di Amedeo ModiglianiAmedeo-Modigliani-Leopold-Zborowski-4-Oil-Painting

I ritratti di Jeanne Hébuterne e Leopold Zborowski sapranno cogliervi di sorpresa. È una promessa. Due piccole tele che irradiano un tempo incalcolabile in cui irrimediabilmente  vi sentirete proiettati al vostro ingresso e che vi accompagnerà lungo tutto il percorso.

Ho visitato la mostra dedicata a “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti” pochi giorni dopo il  suo inizio, la mostra è attualmente ancora in corso a Milano a Palazzo Reale. L’ho visitata nei modi e nei tempi a me più congeniali, da sola e libera di perdermi in quel tempo. Ne sono uscita dopo alcune ore e con la stessa nostalgia degli addii, strappandomene a fatica.

Oggi pigramente, sempre più negli ultimi tempi, ho fatto una breve incursione nei pochi blog che visito, ormai di tanto in tanto, e nel Il Primo Amore ho letto questo articolo. Bello.