In certe ore estive la linea breve con cui il paese si distende verso l’interno sembra che s’inclini, e si corrughi, e allora tutto scivola ammassandosi verso il mare: la gente, i rumori, gli odori; tutto sobbolle, come un sugo concentrato d’umanità, nella sottile striscia dei pochi metri di spiaggia e del lungomare.
Sono queste le ore in cui il sole si conficca perpendicolare nella carne del paese, e chi non è al mare è nel chiuso fresco delle stanze.
Basta spingersi però poco oltre la linea di confine, allontanandosi dal mare, e il paese appare come svuotato da se stesso in tutta fretta, del suo passaggio restano poche tracce : qualche cicca di sigaretta, pezzetti di merendine cadute dalle mani dei bambini, il breve tempo che separa l’attesa di tazzine e bicchieri prima che i tavolini dei bar vengano rigovernati, le sedie lasciate nell’atto fermo e scomposto dell’abbandono.
Tutto è immerso in un silenzio che però non è puro e totale, ma è viscoso come resina e se ci entri dentro t’imbatti nei minuscoli suoni che vi sono intrappolati dentro.
Mi piace allora, soprattutto quando mi rendo conto che in fondo non ho nulla di memorabile da aggiungere, starmene lì, in questa specie di pelle di serpente, in questa cosa né viva né morta. Continua a leggere “Il giallo e il nero”