Elogio alla pigrizia

Quanto più bello sarebbe il mio  corpo fermo
la schiena che disegna geometrie di pieghe e
oscure grafie di segni sul cuscino
             senza strategie né pensieri.
Puntare pigramente con lo sguardo il
Paul Verà sulla parete
assecondare mollemente la sua astuzia
di abbandonare ad altri, alla
bonheur il fare del tempo, e allora
quanto più bello sarebbe amarti
solo nel volo del respiro
come un’ape pigra
                      essere dell’amore e della poesia
il controsenso e, senza energia animale,
starmene nell’approssimazione delle intenzioni
essere il vizio sdraiato nell’indefinito, la massa sul margine
di una particella elementare, essere il prima  prima del poi
la calma, prima del vagolare dei protoni, prima del caos,
prima delle stelle
prima del big bang dei pianeti dei buchi neri
essere Pangea, la stasi
prima della deriva, prima di qualsiasi incontro
essere ancor prima della dimensione inesplorata delle stringhe e allora
quanto più bello sarebbe scriverti questa poesia
                                                                  –
domani
respirarla ora soltanto nell’inerzia che arriva nei polmoni
come aria ferma
                           –
domani
starmene immobile

nel prima del sopravvivere al disastro di quello che di te oggi rimane

 

Un poeta leggerà una poesia per te

cafè cafè cafè- m.cimini

Non ho mai ben compreso gli intenti dei cosiddetti tq, non completamente, e non so se abbiano inciso un segno o se quelle intenzioni siano poi naufragate del tutto, ma anche senza voler entrare nel merito delle polemiche che hanno accompagnato il movimento fin dal suo nascere non posso negare categoricamente che chiunque scriva non abbia dovuto, negli ultimi tempi, confrontarsi, nel bene e nel male, con questa “generazione entrante”.

Il movimento, infatti, se ha il merito di aver dato una accelerazione al solito lunghissimo iter di sdoganamento delle nuove voci in ambito letterario ha anche creato come una sorta di aura intorno alle stesse investendole di una capacità interpretativa della realtà e di una connessione con la stessa come se fossero le uniche possibili. Alle giovani voci si é attribuito una contemporaneità i cui canoni però sono sembrati a volte definirsi ancor prima del suo compiersi, come se la realtà potesse presentarsi conseguente alla teoria. Ciò, come c’era d’aspettarsi, ha generato non poche “turbolenze” fra i sostenitori della generazione entrante , quella uscente e inevitabilmente anche fra coloro che a torto o a ragione non erano stati considerati appartenenti né all’una né all’altra categoria.
Ma quello dei TQ almeno ha rappresentato un tentativo, forse con troppe risposte premature e poca attenzione alle domande.

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Ma poi come è andata a finire con “Gates”?

Gate

Era Marzo del 2012, e “Gates” lo avevamo lasciato pressappoco qui. Nell’  Aprile successivo ebbi modo di partecipare ad un workshop di scrittura con Giulio Mozzi. In quella occasione a fine di una delle giornate di lavoro, e davanti ad un bicchiere di vino,  Giulio trovò tempo per parlare  con me di “Gates”. In realtà la nostra conversazione si mantenne su un piano generico: io gli parlai delle mie esperienze con i pochi editori da me contattati, lui mi ribadì  ciò che mi aveva già accennato via e-mail e cioè che per quanto belli quei testi difficilmente avrebbero potuto trovare una veste editoriale, ma si poteva tentare, magari cercando  qualche soluzione –lavoraci un po’ e poi mi spedisci il tutto, magari  potremmo poi incontraci a Milano per discuterne. Continua a leggere “Ma poi come è andata a finire con “Gates”?”

da 52 Parole Poetiche: Corpo

Ernst Haas Egyptian Boys- 1954

“Attorno a questo mio corpo/ stretto in mille schegge, io/ corro vendemmiando, sibilando/come il vento d’estate, che/si nasconde; […] Amelia Rosselli – da Sleep- Poesie in inglese- Garzanti- 1992

C’era il corpo. Tutti per sé ne volevano uno. Per abbracciarlo diceva qualcuno, per pettinare i capelli bianchi del suo capo diceva un altro, per sentire il suo suono mentre,corpo nel corpo,cresce lo volevano altri, per guardargli dentro dicevano quelli più audaci. Ma poi si mandavano lettere anonime in cui scrivevano di uteri monumentali, di dosi massicce di medicine sperimentali, di luoghi oscuri, di soffitte di lacrime impregnate di ricordi immaginari. Il corpo ce la metteva tutta per farsi reale, ma poi sfinito scompariva. Girava voce che si fosse solo addormentato e che presto per loro si sarebbe svegliato continuavano a mentire.

Da 52 Parole Poetiche: Neve

Andrew Wyeth-SnowFlurries.- Study 1953

                                    […]A snowflake, a blizzard of one,weightless,entered your room[…]
da: A piece of the Storm- Blizzard of One- Mark Strand- Alfred A. Knopf- New York- 2006

C’era la neve. Qualcuno lo diceva come se avesse detto nave, neve: come una nave è sul filo dell’orizzonte prima di cadere e così anche la neve viaggiava dall’alto sul filo dell’aria, lenta verso il basso fino a perdersi sull’asfalto. Un attimo soltanto si era posata la neve sull’asfalto, bianca, così era stata anche la spiaggia, neve l’aveva dipinta come una spuma addormentata, e tutti sentivano una meraviglia sospesa e brada. Quando si era risvegliata, tutti si risvegliarono nel medesimo istante, e come un sogno tradito dall’alba nessuno più ricordò né il viaggio né il posto in cui la neve li aveva portati quando dal basso li aveva presi con sé.

da Mai dire Mai: Come continuare a scrivere…nonostante tutto

Ed ruscha-It's only vanishing cream-1973

Prendi un’alba, falla tua come se fosse del mondo che conosci
Prendi una notte,falla tua come se fosse del mondo che non conosci.
Oggi. Ieri. Oggi. Ieri etc
Non voltarti, dietro di te ci sono solo fantasmi
Non guardare avanti, davanti a te ci sono solo ombre
Sei solo? Sei solo.
Ora scrivi, se è proprio questo quello che vuoi,
non dirlo mai veramente a qualcuno

Il “trentunesimo”: Poet be like God

Il trentunesimo

Negli anni in cui ho scritto poesia ho partecipato, di tanto in tanto come tanti altri suppongo, con uno o più testi a qualche concorso. Perché l’ho fatto? Non saprei dare una risposta secca, posso dire che nel corso degli anni le motivazioni sono mutate, ma credo che sarei insincera se facessi finta d’ignorare che la madre di ognuna di esse sia stata l’intima rincorsa a voler dare, come chiunque scriva, anche quelli che non l’ammetterebbero mai, un agognato appagamento al mio Io artistico.
Ma non è di questo di cui in realtà ho intenzione di scrivere oltre, bensì di una piccola regola che spesso è fra quelle che si trovano elencate in questi concorsi: le poesie rigorosamente non devono superare i trenta versi.
Non è che mi senta particolarmente minacciata o discriminata da questa regola, le mie poesie difficilmente superano questo limite, semplicemente m’incuriosisce il numero. Perché non cinque? o ventidue? No, trenta. Che sia più o meno importante il concorso, che sia nazionale o connesso alla sagra della bruschetta, la regola comune è che il confine dell’impeto poetico non varchi il trentesimo verso, come se oltre questo l’attenzione vacillasse o come se i giurati preposti all’ insindacabile giudizio tenessero principalmente alla ragioneria del dare e dell’avere – ti leggo ma solo fino a trenta- .
Questo è uno dei tanti misteri che si muovono in questo fantastico mondo della letteratura, imponderabile, come tutti gli altri che lo governano, spesso regolati da direttive dettate dal dio di turno.
Ma Jack Spicer dice – Poet be like God– e questo dio come l’arte non conosce regole, entrambi, thanks god, sono indisciplinati.

Oggi è il trentunesimo giorno di dicembre, l’anno finisce qui, ma la poesia continua…

il mio augurio?

                                      siate indisciplinati!!!

un sorriso più lungo imparato
da Secondo amore- Antonia Pozzi

con gli arresti bruschi delle peripezie
da Viva e Morte separata- Paul Eluard

sarà sarà perché non sia domani”
da Sarà Sarà – Alfonso Gatto

“di un antico tremore”
da You, wind of March- Cesare Pavese

“ rincasa disgustato”
da La Ragazza Carla – Elio Pagliarani

“si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente”
da Marlyn- Pier Paolo Pasolini

“dei corvi”
da Incitamenti- Mario Luzi

“ Ercole furibondo ed il Centauro”
da La Signorina Felicita-Guido Gozzano

“la mente indaga accorda disunisce
da I limoni- Eugenio Montale

“E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti”
da La Chimera- Dino Campana

“ gli uomini di tutti”
da Il Borgo- Umberto Saba

“evocate per poco nella spirale del vento”
da Ancora sulla strada di Zenna- Vittorio Sereni

“Era così bello parlare”
da L’uscita mattutina- Giorgio Caproni

“io vedo tutte le insidie”
da Xanti- Yaca- Vittorio Bodini

“e a lei che sul punto di partire”
da L’India- Mario Luzi

“Ma tu l’hai assolto? Non te ne stavi distratto”
da Elegie Duinesi- Rainer Maria Rilke

“e dovrà accompagnarmi fino alla fine”
da Un Lettore- Jorge Luis Borges

“scostate dal braccio robusto”
da La Maestra Morchet vive- Andrea Zanzotto

“ Prendono a studiare Dobroliubov ( per odiare il male)”
Da La mia Università- Vladimir Majakovskij

“È bello non sapere. Non sapere, ad esempio”
da Polvere- Carlo Bordini

“Adorabile strega, ti piace chi è dannato?”
da L’ Irreparabile- Charles Baudelaire

“e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni”
da Sulla morte non esagerare- Wislawa Szymborska

“ a male tu avesti la mia fuggita”
da Omaggio a Michelangelo- Edoardo Zanzotto

“La tristezza che ebbe la tua gagliarda allegria”
da Anima Assente- Federico García Lorca

“si fanno sottili, a volte,”
da Qui ti amo- Pablo Neruda

da Mai dire Mai: Dopo una poesia di O’Hara

tmsc- di lisa sammarco ©

suppongo che un giorno la maturità
mi prenderà alle spalle, all’improvviso, alla velocità di una
dune- buggy
oppure mi si parerà
davanti come oggi quest’alba inopportuna,
arrivata dentro un giorno di dicembre
e presa per caso da una finestra
dopo una poesia di O’Hara,
nuda e vuota l’alba
e così anche il vento che ho visto passare fra le stelle di natale
spente e così lei
che arriverà sventolando la sua giovinezza pallida,
mi piacerebbe dirle,lo sai che sei anche tu in ritardo?

da Mai dire Mai: Un tempo incontrollabile

Jasper Johns- Periscope (Hart Crane), 1963

che la vita non sia una ma una dentro tante
è chiaro
che vi sia qualcosa
di nascosto sotto la crosta è chiaro
è il passo stanco mentre sfidi la corrente
a svelare che il mondo ti divora
e che persino le tue briciole governa
ma tu
– è il fiume – hai detto – è questo terribile inverno
che noi siamo – e dentro hai questo tempo incontrollabile
che misuri con un respiro animale, ma poi ti lasci andare

Dediche: Wislawa Szymborska – A una mia poesia

Terms Most Useful in Describing Creative Works of Art (1966-68), by John Baldessari

Nel corso di quest’ultima settimana, forse più, ho seguito alcune discussioni in rete. L’argomento? poesia, critica sì e critica no, letture.
Benché mi stia avviando ad un graduale distacco riducendo allo stretto necessario la mia presenza in rete, benché stia apprezzando non poco questa lieve sensazione di oblio liberatorio, alcune discussioni, quasi a conforto che questa direzione non sia errata, le seguo volentieri tanto che qualche giorno fa ho anche cercato di scrivere un commento da lasciare ad uno dei post letti.
Terminato che lo avevo, il pomeriggio si era quasi fatto sera. Il commento era lunghissimo, spropositatamente rispetto alla sinteticità del post stesso. L’ora di cena si avvicinava e c’era la spesa ancora da fare, ho lasciato la pagina word lì com’era e sono uscita portandomi nella testa quanto avevo lì scritto.
Mi è bastata una rampa di scale e già tutto quell’argomentare mi è sembrato fragorosamente inutile, approssimato nonostante la lunghezza, è più lo ripassavo nella mente più mi convincevo della sua inutilità, perché ciò che si esperienza è sempre un po’ diverso da quello che si teorizza, spesso la bontà dell’una inficia quella dell’altra e viceversa, e mettere insieme le due cose non è semplice senza andare incontro a derive che, anche se prevedibili e previste, in genere mi fanno dire sfinita ok, meglio annegare. Continua a leggere “Dediche: Wislawa Szymborska – A una mia poesia”

da Mai dire Mai: Il pianeta dei poeti smarriti

Ti lasciano, all’improvviso
un puff senza metrica
senza una rima
come se ad un tratto non ritrovassero
un modo dell’esistere
e ci sarà forse un pianeta dei poeti smarriti
in cui stare
come calzini senza più il proprio compagno
spaiati dal mondo avuto, da quello che ora li circonda

da Mai dire Mai: Niente di personale

 

 

per invertire la rotta, per essere finalmente un po’ più veri
bisognerebbe ammettere che tutto è  oramai una questione personale,
che la vita è una vita che non ti abbandona e c’è
anche quando la racconti dal buco della calza
che abilmente   le hai costruito intorno, ti sei  nascosto
per tutto questo tempo dietro l’amaro di un dolore

o di un amore che se ne è andato

o che non hai mai avuto
o forse  nelle attese da cui non sei mai più tornato

una  pelle in cui ti sei confinato, esiliato
mentre con lo sguardo ancora cercavi come tutti la chiave di un infinito,
perché non hai detto  mai che ti bastava  molto meno

per essere felice  ?

da Mai dire Mai: La luna

tornare in questa ora vuol dire viaggiare
con una virgola di luna che t’accompagna dentro il buio
quante volte hai visto la stessa scena? eppure
non riesci a farne un’abitudine
e tocchi la spalla di tua figlia che ti siede accanto
la tocchi appena, la tua mano frena – guarda-
avresti voluto dirle –guarda – è già solo un pensiero
sui suoi occhi chiusi lontano
e allora ritorni a quella luna d’autunno
che impassibile come sempre argenta il mare
e ad un tratto pensi ai tuoi capelli indaffarati ad invecchiare
così, nello lo stesso buio vasto delle cose disperse, -guarda-
che pensiero strano

Su S/Paesamenti Stabili: Spazi Minimi

Quando arrivi al paese lo vedi così, e pensi o sei un uccello poggiato alla ringhiera da cui lo stai guardando, o sei morto, e non per quella vecchia storia della bellezza che sempre accompagna questi luoghi, ma perché sei come una anima persa, un’ombra che volteggia lo sguardo su quel vuoto inaspettato. continua la lettura qui