da Mai dire Mai : Ariacqua

c’è stato il giorno
che ho sentito un bimbo dire – grazie mamma
che mi hai portato al mare-
i braccioli gonfi come se avesse due ali tozze
galleggiava senza peso dentro l’ariacqua
e mai come allora l’innocenza dell’infanzia
mi è apparsa in tutto il suo tragico splendore,
ah! la fugacità di un tempo irraggiungibile
senza elementi,
dopo è stata tutta un’invenzione, perfino ogni ribellione

da Mai dire Mai: Vero?

Scusami Luigi,mi dispiace se la tua vanità
candida è andata a sbattere contro la mia intransigenza
– sono solo- scrivesti- scrivetemi-
ed io l’ho fatto e tu allora mi dicesti
che tutto sommato potevi essere contento:
un grande critico aveva scritto che il tuo libro
era un libro grande, mi dicesti così
e l’aveva detto di te, tu
già così vecchio, eppure con parole tanto vive
da essere memoria – compralo – aggiungesti
ed è stato allora che leggendo avevo scosso la testa.
Che la tua fosse innocenza l’ho capito dopo.
Ora sei morto e questo è un mondo
che dimentica questo è un mondo
che fa solo finta di capire
cosa sia la solitudine dentro tanto rumore,
ecco volevo dirti questo, che ho capito
mai dire mai, vero Luigi? bisogna pur credere in qualcosa
foss’anche in una solitudine che abbraccia strette quattro ossa, in ogni modo.

da Mai dire Mai : Tabula rasa

Franco, ho smesso già da tempo
di seguirti, è stato già prima di
quando hai perso l’innocenza
come tanti, troppi, sulle pagine dei giornali,
troppi appuntamenti per la vita sola che mi ritrovo
e per la linea del mio orizzonte
e ora i tuoi fantasmi appiccano fuochi
alle sterpaglie
leggeri e tragici danzano sullo sfondo di paesaggi
spettrali cantano come janare le stesse nenie
all’infinito
ed è come una terribile agonia
che non guarisce né ha fine,
e la realtà scompare, né si riscrive.

da Mai dire Mai: Poeti

Quando cammino in un giorno qualsiasi, quando una
luce di siero e ruggine si mescola al crepuscolo
m’immagino a volte d’incontrarli
riconoscerne le spalle mentre se ne stanno
seduti su una panchina
con lo sguardo che s’annega
in qualche punto
sfiorando nel volo i corpi
della gente, m’immagino così
come se davvero possa accadere che una poesia
una storia accada fra la gente,
dimentico che i poeti stanno in piedi, o vanno.

“Mai dire mai”

 

” Ho detto alla ragazza sapor di cannella che questo non mi verrà mai perdonato. Mai. Che quando raggiungi un certo punto della tua storia e una certa situazione sei legato a della gente, sei parte di una cosa più grande. Che tutta la costellazione diventa come un liquido, e qualunque tipo di agitazione la fa increspare tutta. Mi ha chiesto chi è stato il primo a dire mai dire mai. Le ho detto che deve essere stata una persona molto sola. […]”

da:  “Dire mai”- ” La ragazza dai capelli strani” – David Foster Wallace- minimum fax-

Dediche: Poesia

                                                               

                               a f.m

è l’assenza e          l’assenza è
necessaria            l’assenza
divelle l’opacizzante
consuetudine
di un non essere      che è

nell’assenza        il bene
quando il bene  c’è           si
ricompone senza angoli
in una forma perfetta
che ritorna          poesia. è

Meg Rutherford : The Beautiful Island

“L’Isola Bellissima”  (1969) di Meg Rutherford nacque come fiaba illustrata destinata ai lettori più piccoli. Le brevi didascalie accompagnano i collage, assemblati ritagliando immagini ottocentesche, che traggono ispirazione da una delle opere più visionarie di Max Ernst :  “ Una settimana di bontà ” 

( The Beautiful Island- da : The Visual Telling of  Stories- Meg Rutherford- 1969)

Un inedito Roberto Bolaño nella Dimora del Tempo Sospeso

[…]LA REALTÀ . Ero ritornato a Gerona, solo, dopo tre mesi di lavoro. Non ne avevo più trovato, e neanche ci speravo. La casa, durante la mia assenza, si era riempita di ragnatele e le cose sembravano ricoperte da una patina verdastra. Mi sentivo vuoto, senza voglia di scrivere, e, quando ci provavo, non riuscivo a stare seduto  di fronte al foglio bianco per più di un’ora. I primi giorni non mi sono neanche lavato e ben presto mi sono abituato anche ai ragni. Tutto quello che facevo era andare all’ufficio postale, dove molto raramente trovavo una lettera dal Messico di mia sorella, e al mercato per comprare un po’ di carne per il cane.

LA REALTÀ. Inspiegabilmente, la casa sembrava presa da qualcosa che non aveva al momento della mia partenza. Le cose sembravano più nitide, per esempio, la mia sedia sembrava nitida, brillante, e la cucina, benché piena di polvere attaccata al grasso incrostato, dava la sensazione di candore, come se ci si potesse guardare attraverso.( Guardare cosa? Niente: più bianco.)  Allo stesso modo, le cose apparivano più distinte. La cucina era la cucina, il tavolo era solo il tavolo. Un giorno cercherò di spiegarlo, ma allora, due giorni dopo il mio ritorno, se poggiavo le mani o i gomiti sul tavolo, provavo un dolore penetrante, come se mi divorasse qualcosa d’irreparabile.[…]

(da “Prosa del Otoño en Gerona”-  da: Tres – 2000 – Roberto Bolaño)

Sì, mi si dica pure che alla base la questione è sempre la stessa: scambi, cortesie, tornelli e combriccole. Ma a questo punto della mia fulgida carriera e dopo aver  toccato la pelle di tanta poetica meschineria, sempre in agguato dietro l’angolo, a questo punto faccio quello che mi piace.
E a me piacciono le coincidenze, quelle piccole cose che s’intessono ingovernate e ingovernabili, e la lettura diventa  allora qualcosa di più, qualcosa di intimo e personale.
In questi giorni sto leggendo, finalmente, dopo le mille volte che mi ero ripromessa di farlo, “2666” di Roberto Bolaño,  ecco perché mi piace segnalare questi  post e i commenti ad essi  attraverso i quali sarà possibile seguire  una sorta di back- stage delle traduzioni nonché suggerimenti e riflessioni utili all’approccio di questo autore, e non solo  :

http://rebstein.wordpress.com/2012/07/07/i-cani-romantici-i/

http://rebstein.wordpress.com/2012/07/13/i-cani-romantici-ii/

http://rebstein.wordpress.com/2012/07/20/i-cani-romantici-iii/

http://rebstein.wordpress.com/2012/08/09/i-cani-romantici-iv/

http://rebstein.wordpress.com/2012/08/09/i-cani-romantici-v/

Qui    il Quaderno delle Traduzioni in versione pdf

Il controcanto  che stanno creando alla mia lettura queste traduzioni inedite de “Los perros romanticos”  ad opera di Francesco Marotta si avvicina a qualcosa che solitamente è chiamato piacere, quello vero.

Oggi,12 dicembre 2012, Francesco Marotta ha consegnato alla lettura “Los Perros Romanticos” nella traduzione integrale da lui curata. Qui il link dove è possibile leggere o scaricare l’opera. È un lavoro splendido. Grazie Francesco.

Carmine Vitale: Janet per “Il mare non bagna Napoli”

Qualche ora fa ho ricevuto una email dal poeta Carmine Vitale.

Tre cose insieme mi hanno commossa
il gesto inaspettato
e lo stupore grande che mi ha dato
l’anima napoletana dentro parole familiari
la tenerezza di sapere che, seppure nella finzione di una storia,
possa accadere che in una tasca di un cappotto
si sia nascosta una mia piccola poesia

Grazie Carmine

Il mare non bagna Napoli

Workshop di scrittura: riflessioni a caldo, o quasi

Ho partecipato dal 17 aprile al 20 aprile ad un workshop di scrittura multipla. Io non ho mai frequentato un corso o un workshop di scrittura prima di questa data, non sono mai riuscita neanche ad immaginare come l’uno o l’altro potessero svolgersi, e non sono mai riuscita ad immaginare come le interazioni che conducono ad un testo scritto, che solitamente agiscono all’interno di un territorio di privata e individuale intimità, si potessero coniugare anche nell’accettazione di un’intrusione. Di scrittura multipla ne sapevo ancora meno. Anzi confesso che al momento dell’iscrizione alla candidatura per uno dei dodici posti disponibili non ho neanche prestato attenzione alla presenza di questo attributo. Dunque la mia partecipazione ha avuta come motivazione principalmente la curiosità di dare corpo ad una non-immaginazione, a cui, una volta lì, è andato ad aggiungersi anche l’aggettivo “multiplo”. Il workshop era tenuto da Giulio Mozzi che a questa mia motivazione ha reagito storcendo un po’ il naso, ma questa era.
A parteciparvi ci siamo ritrovati in quattordici. La presenza femminile sovrastava abbondantemente quella maschile: undici erano le donne, tre gli uomini. Lo scarto è diminuito nel giorno successivo all’inizio del corso, fino a ridursi ulteriormente nell’ultimo giorno a cui si è giunti in nove. I partecipanti erano, me esclusa, tutti molto giovani. Io era la più anziana del gruppo.
Il primo approccio è stato dedicato alle presentazioni e di seguito alla scelta di un possibile tema intorno al quale sarebbe stata costruita la “narrazione”.
Fra le varie proposte ( nessuna nata da me che nel contesto  ero abbastanza atrofizzata) è stata preferita quella che prevedeva la genesi, e il successivo concretizzarsi fino a raggiungere punte di violenza,di una rivolta dei portatori di handicap stanchi di veder occupate le aree di parcheggio a loro riservate.
Definito il tema si è passati alla fase di costruzione degli eventi. Ad ognuno dei partecipanti è stato assegnato un momento della rivolta col compito di schematizzarne la situazione e  i personaggi coinvolti, con i quali si sarebbe impiantata  successivamente la narrazione vera e propria.
Il mio primo compito è stato quello di trovare uno slogan. Io non amo gli slogan, dunque non posso dire di essere stata presa dalla immediata febbre della scrittura, ma poi ho pensato che anche Fitzgerald ne aveva scritti per una lavanderia…
Dopo qualche tentativo di cercarne uno adatto avevo scritti sul quaderno solo una serie di versetti, più simili a filastrocche per la conta dei bambini che allo slogan che mi era stato richiesto. Solo dopo un po’ un neurone che ancora dava segni di vita è riuscito a trovarne uno.
Intanto gli altri erano impegnati nella più complessa stesura della successione dei fatti.
Nei giorni seguenti, formati i piccoli gruppi, che devo dire hanno molto ben interagito fra loro e con Mozzi molto meglio di quanto io sia stata capace, la rivolta e il suo svolgersi hanno preso corpo nella loro struttura di “fatto di cronaca”. Dunque la finzione narrativa ha ricreata ogni fase dell’evento: articoli di quotidiani, interviste, dichiarazioni, pagine face book, video. Mozzi ha coordinato con la sua brusca e garbata gentilezza il lavoro di tutti. Dialoghi e dichiarazioni hanno richiesto un certo impegno da parte di chi si è ritrovato ad affrontarli, soprattutto nel  cercare di determinarne i giusti toni  affinché non assumessero una connotazione ambigua. Io ho lavorato da sola. Le pause pranzo sono state piacevoli. Andare a fumare una sigaretta in bagno di tanto in tanto, straniante.
L’ultimo giorno è stato dedicato alla lettura del lavoro nella sua interezza, anche se è mancato il tempo per giungere ad una  sua stesura definitiva. Ho notato che,  nonostante ci fosse una supremazia numerica femminile,  a nessun personaggio femminile è stato dato un ruolo primario. Questa annotazione non l’ho espressa.
Il mio testo, una lettera di autodenuncia ad un giornale di un solitario ribelle, ha disegnato un greve silenzio nell’aria e qualche perplessità. Ma l’avevo messo in conto poiché sebbene nel corso del workshop l’atmosfera sia stata molto rilassata ho avvertito un certo scollamento fra me e il resto del gruppo. Per descriverlo potrei dire che era un po’ come essere al cinema con un gruppo di amici e io ero quella che in fondo sapeva già cosa riservasse il finale.  Credo ci sia di mezzo una questione di disincanto. Mio.  A leggere il mio testo è stato Giulio Mozzi, come aveva fatto con i testi degli altri, e nel farlo mi è parso che ne sottolineasse, scandendone più lentamente le parole, i passi che più gli piacevano. Ma potrei sbagliarmi.
L’ultimo giorno, di ritorno a casa, in autobus, con il  sottofondo di un cielo che, dopo freddo e pioggia, finalmente si apriva ad una promessa di tersità , ho ripensato a cosa mi lasciava dentro tutto questo e non ho saputo spiegarmelo. Guardavo fuori dal finestrino, avevo un terribile mal di testa e tutto mi sembrava così fermo e limpido e rassicurante, e l’unica cosa che mi ronzava in mente era – sniff – della Imaginary Still Life #10 di Joe Brainard. Sniff , e come ciò che scrivevo mi fosse sembrato così distante fuori da quel silenzio.

Continua a leggere “Workshop di scrittura: riflessioni a caldo, o quasi”

A proposito della “La dislessia delle cose”

Come ebbi a dire già qui  “La dislessia delle cose”  ha avuta una strana esistenza, segnata da alti e bassi.
Scelta, appena che ne ebbi terminata la scrittura, da “Feaci Poesia” non fu mai più pubblicata, né me ne fu mai data la motivazione  né  tantomeno ho ricevute mai delle scuse .
“La dislessia delle cose” rimase  infatti ferma  per molti mesi finché non decisi che l’attesa era durata abbastanza così come  quello che io ritenevo essere un mio obbligo di correttezza nei confronti di quella redazione e, avendo nel frattempo aperto questo blog, decisi anche che potevo darle qui una più dignitosa sepoltura.  In realtà la cosa è stata un po’ più complicata perché negli anni che sono seguiti mi sono ritrovata più volte a doverne spiacevolmente difendere la paternità.
“La dislessia delle cose”  è un poemetto che ha ormai i suoi anni, ma ad esso mi lega un momento di un passaggio, a me importante, fra una fase ed un’altra della mia scrittura, ma le sue tante disavventure me l’hanno reso ancora più caro.
Dunque oggi sono proprio contenta di questo piccolo riconoscimento. Un epitaffio più che dignitoso.
Grazie ad “Anterem” e alla giuria del “Premio Lorenzo Montano” che hanno voluto premiarlo con una segnalazione

Ego-centro

Sarò sincera, ogni volta che un evento straordinario sconquassa il corso delle cose, il susseguente scatenarsi di splendidi articoli mi lascia sempre più indifferente. Certo, mi trovo a leggere testi che fanno bene il proprio lavoro: sono belli e tanti, tutti diversi e tutti belli, chi nella puntigliosa cronaca, chi nell’approccio emotivo, tutti sono belli. Ma poi mi ritrovo a chiedermi- cosa resterà di concreto? cosa produrranno di concreto?- e la risposta è più o meno sempre la stessa – nulla- se non qualche accorata partecipazione e l’appurarne dal pubblico ristretto l’obbiettiva bellezza. È un po’ come quando passando davanti una vetrina ci si sofferma davanti alla bellezza di un oggetto – è bello- dici a qualcuno che ti accompagna, ma a questa qualità il più delle volte non si affianca una oggettiva necessità o utilità che possa spingere all’acquisto.  Quel bicchiere sottile ed etereo, quel piatto così finemente decorato e dalla linea pura hanno, all’atto pratico, la medesima funzione di quelli che già possiedi, allora riprendi a far la strada tua e dopo pochi passi è già tutto dimenticato.
Ecco, spesso leggendo questi testi è come se ne riuscissi a cogliere semplicemente e solo la bellezza stilistica, una pulita perfezione quasi in contrasto con la polvere delle macerie, come se nonostante tutto leggessero il mondo da dietro un vetro lasciando sulla superficie appena un alito di fiato. Al di là dal vetro restano i volti indistinti, – bello- paiono dire- ma cosa darà al mio futuro?- Continua a leggere “Ego-centro”

L’anima di Wyeth

Sono sempre molto incuriosita dai termini con i quali attraverso i motori di ricerca si arriva a questo blog. In genere la ricerca, nel mio caso, è prettamente legata alle immagini: fra le più richieste svettano quelle di Cy Twombly, concentrate nei mesi successivi alla sua morte ma poi praticamente cadute in disuso. La vera supremazia, costante e distribuita nel tempo, è da attribuirsi a quelle di Hopper, non qualcosa in particolare che riguardi la sua arte, semplicemente si cerca Hopper . Solo a volte le richieste sono più specifiche e a volte queste sono anche bizzarre.
Quella che preferisco è Poesia non d’autore ,che è gettonatissima. Quando la trovo fra i termini mi fa pensare sempre ad una poesia che si è scritta da sé, e mi dico-interessante- poiché opera e autore coincidono- ma poi mi chiedo anche- cosa fa di un autore un autore o un non autore? e una poesia non d’autore è una poesia o una non poesia?-
Bizzarra è anche la ricerca Ho sognato di fare l’amore con te : cosa si spera di trovare? il proprio sogno? il sogno di un altro che somigli al proprio? perché si cerca un sogno di un altro se si può raccontare il proprio?
A volte la ricerca dell’internauta nasce invece a ridosso di un evento di attualità . Continua a leggere “L’anima di Wyeth”