Carmine Vitale: Janet per “Il mare non bagna Napoli”

Qualche ora fa ho ricevuto una email dal poeta Carmine Vitale.

Tre cose insieme mi hanno commossa
il gesto inaspettato
e lo stupore grande che mi ha dato
l’anima napoletana dentro parole familiari
la tenerezza di sapere che, seppure nella finzione di una storia,
possa accadere che in una tasca di un cappotto
si sia nascosta una mia piccola poesia

Grazie Carmine

Il mare non bagna Napoli

Ego-centro

Sarò sincera, ogni volta che un evento straordinario sconquassa il corso delle cose, il susseguente scatenarsi di splendidi articoli mi lascia sempre più indifferente. Certo, mi trovo a leggere testi che fanno bene il proprio lavoro: sono belli e tanti, tutti diversi e tutti belli, chi nella puntigliosa cronaca, chi nell’approccio emotivo, tutti sono belli. Ma poi mi ritrovo a chiedermi- cosa resterà di concreto? cosa produrranno di concreto?- e la risposta è più o meno sempre la stessa – nulla- se non qualche accorata partecipazione e l’appurarne dal pubblico ristretto l’obbiettiva bellezza. È un po’ come quando passando davanti una vetrina ci si sofferma davanti alla bellezza di un oggetto – è bello- dici a qualcuno che ti accompagna, ma a questa qualità il più delle volte non si affianca una oggettiva necessità o utilità che possa spingere all’acquisto.  Quel bicchiere sottile ed etereo, quel piatto così finemente decorato e dalla linea pura hanno, all’atto pratico, la medesima funzione di quelli che già possiedi, allora riprendi a far la strada tua e dopo pochi passi è già tutto dimenticato.
Ecco, spesso leggendo questi testi è come se ne riuscissi a cogliere semplicemente e solo la bellezza stilistica, una pulita perfezione quasi in contrasto con la polvere delle macerie, come se nonostante tutto leggessero il mondo da dietro un vetro lasciando sulla superficie appena un alito di fiato. Al di là dal vetro restano i volti indistinti, – bello- paiono dire- ma cosa darà al mio futuro?- Continua a leggere “Ego-centro”

L’anima di Wyeth

Sono sempre molto incuriosita dai termini con i quali attraverso i motori di ricerca si arriva a questo blog. In genere la ricerca, nel mio caso, è prettamente legata alle immagini: fra le più richieste svettano quelle di Cy Twombly, concentrate nei mesi successivi alla sua morte ma poi praticamente cadute in disuso. La vera supremazia, costante e distribuita nel tempo, è da attribuirsi a quelle di Hopper, non qualcosa in particolare che riguardi la sua arte, semplicemente si cerca Hopper . Solo a volte le richieste sono più specifiche e a volte queste sono anche bizzarre.
Quella che preferisco è Poesia non d’autore ,che è gettonatissima. Quando la trovo fra i termini mi fa pensare sempre ad una poesia che si è scritta da sé, e mi dico-interessante- poiché opera e autore coincidono- ma poi mi chiedo anche- cosa fa di un autore un autore o un non autore? e una poesia non d’autore è una poesia o una non poesia?-
Bizzarra è anche la ricerca Ho sognato di fare l’amore con te : cosa si spera di trovare? il proprio sogno? il sogno di un altro che somigli al proprio? perché si cerca un sogno di un altro se si può raccontare il proprio?
A volte la ricerca dell’internauta nasce invece a ridosso di un evento di attualità . Continua a leggere “L’anima di Wyeth”

Gesti # 14

Quando un paio d’anni fa tradussi in parte “After Lorca” ero piena d’entusiasmo. Mi sembrò che dentro quelle pagine ci fosse un mondo in cui tanti miei quesiti trovassero se non le risposte, ma almeno un senso. L’entusiasmo crebbe quando il poeta Francesco Marotta di quel mio lavoro ne fece uno dei Quaderni raccolti nel suo blog. Ero felicissima di poter condividere quella lettura che tanto mi aveva appassionata, e soprattutto curiosa di sapere se in altri avrebbe provocato lo stesso effetto, la stessa frenesia, la stessa tenerezza. Alcuni lettori apprezzarono, ma nel complesso i testi non suscitarono grandi reazioni benché quello stesso anno, la pubblicazione del corposo “My Vocabulary Did This to Me: The Collected Poetry of Jack Spicer” avesse avuto una certa risonanza tanto da meritare l’American Book Award. L’attribuii alla natura stessa dei testi, più teorici che poetici, ed anche forse ad una inadeguata, da parte mia, presentazione degli stessi, nonché ai tempi rapidi che il web impone che spesso penalizzano la lettura.
In quel mio stato d’innamoramento ero decisa però a vendermi anche l’anima pur di coinvolgere altri in quella che io ritenevo essere una voce eccezionale, una voce che avesse tanto da dire al nostro mondo contemporaneo, e facendolo in modo originale, così molti mesi dopo mi decisi a proporre alcuni di quei testi alla redazione di un lit-blog. Era la prima volta che mi avventuravo in quello che ai miei occhi e alla mia timidezza appariva come un gesto di eccezionale audacia.
In un primo tempo i redattori a cui mi ero rivolta si mostrarono molto interessati, poi però mi fecero notare che per correttezza essendo i testi già presenti in un blog già segnalato nel loro, forse era opportuno proporre se possibile altri testi dello stesso autore, se ne avessi.
Credo sia capitato a tutti d’innamorarsi a tal punto da pretendere che il proprio amato, la propria amata apparisse agli altri così come lo era ai propri occhi, essere tanto innamorati da volere che lei o lui riuscisse a suscitare negli altri lo stesso amore cieco, e quello che invece accadeva era qualcosa d’ingiustificatamente normale, inadatto, inadeguato, qualcosa che era dentro le regole e che non era mai abbastanza.
Di Spicer avevo altre traduzioni, ma dopo quel cortesissimo scambio di e-mail, decisi che certi amori restano tali forse solo quando si consumano nell’intimità.
A lasciarmi perplessa erano stati non i toni molto cortesi così come la disponibilità, ma piuttosto la sostanza del breve scambio.
Il concetto di rete, per sua natura, si basa appunto sulla possibilità di poter convogliare, indirizzare e reindirizzare, essere e creare per l’appunto una rete capace di far convergere l’attenzione di molti laddove si ritiene opportuno farla giungere. Difatti raramente in rete un testo non contiene link di riferimento ad altri, e non è raro neanche che uno stesso testo venga proposto in parte in più sedi e reindirizzato alla sede originaria per accedere il testo completo, non è raro neanche che si abusi di questa capacità del web e che un testo vada a disperdersi nei troppi rimandi. Ma nei suoi limiti questa è una comunissima e civilissima pratica, per cui l’eticità su cui si basava quella cortese obiezione mi lasciò confusa, mi apparve come qualcosa d’incompleto proprio come quando inaspettatamente e in modo incomprensibile il mondo intero non sembri amare colui/colei che noi amiamo, e, se anche lo facesse, non nello stesso modo estremo in cui noi l’amiamo tanto da essere disposti a tutto, e tutto per me finì lì.

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Le lettere


Non c’è nulla che gli si possa opporre. Anche l’animo più nobile e distaccato, prima o poi, si lascia tentare e da quell’istante inizia ad accarezzare l’idea del possibile avverarsi di quel sogno di veder pubblicata, nero su bianco, la sua fatica.
Un libro in sé è un oggetto fragile, lo si può ridurre in pezzi, strapparlo, bruciarlo, sommergerlo fino a veder sbiadire il nero dell’inchiostro, o lo si può dimenticare in una camera d’albergo o, stanchi, sulla poltrona sdrucita dopo un lungo viaggio, oppure lo si può ignorare. Ad un libro possono accadere infinite cose che ne possono determinare il finire, lo svanire non solo da te lettore ma anche da te che lo avevi scritto, eppure la pubblicazione cartacea resta una sorta di monumento, l’incoronazione eletta del segno scritto, il permanere materiale dell’immaterialità del proprio pensiero, l’elaborazione in cui anche una fantasia si concretizza attraverso la leggerezza di un foglio di carta e l’impronta di un dito sconosciuto lasciata mentre lo sfoglia.
E tutto quel palpitare, anelare, tutto questo ansare, fremere, sognare che costituisce l’insieme del processo che è compreso fra momento in cui si è “chiuso” un testo e quello in cui lo si vede stampato su carta, e allora finalmente ti appare in tutta la sua fragilità eppure cosa palpabile, idea divenuta oggetto, ed lì col tuo nome, tutto questo rollercoaster emotivo l’ho vissuto anch’io qualche anno fa, anche se il libro in questione era di quelli che solitamente sono contrassegnati dall’acronimo AA.VV, un’antologia destinata come tante a diventare null’altro che una voce aggiunta al curriculum se mai un curriculum, un giorno, ti fosse stato richiesto.
Del libro infatti ben presto se ne perse ogni traccia come a volte è giusto che sia, e più che dei racconti, di cui ho un vaghissimo ricordo, non possedendone del libro una copia, mi è rimasta un’antologia di istanti, di cose, di persone ad esso legato come le ore trascorse una sera con Maura, la curatrice, ore in cui parlammo e parlammo fino a notte alta, la e-mail che qualche tempo dopo ricevetti da Cosimo in cui mi diceva semplicemente che gli era piaciuto molto il mio racconto, il rosso del vino in cui cercai di offuscare la timidezza la sera della presentazione, e di quella stessa sera l’impermeabile di Franz che non tolse mai di dosso, l’espressione della sua faccia che sembrava dire come ci sono finito io qui, la pioggia nel fumo delle sigarette, la gentilezza di Michelangelo che si offerse di riaccompagnarmi a casa, Marco che rincontrai per caso mesi e mesi dopo ad una presentazione presso una libreria dove fra gli scaffali mi mostrò una copia highlander di quella nostra antologia, e con cui mi ritrovai in un chissàdove milanese senza sapere come fare per tornare a casa, il taxi, la cena e l’ospitalità che gli offrii a casa con i miei figli, e la lunga chiacchierata semplice che ci portò a parlare di tantissime cose.
Io credo che ogni libro, ogni testo si porti dentro, oltre ciò che narra, anche queste storie disperse nella casualità fatale del tempo, e in qualche modo attraverso queste essi r-esistono anche quando nella loro realtà falliscono.
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Gesti # 9

 

Io vivo al primo piano di uno stabile. Questo è uno dei motivi per cui raramente uso l’ascensore. Un altro probabilmente trova le sue radici nel fatto che per molti anni ho vissuto in un palazzo privo di ascensore e l’appartamento in cui abitavo con la mia famiglia era al quarto piano, e dunque salire e scendere più volte al giorno i cento gradini e più o forse meno, che dall’ingresso mi conducevano alla mia abitazione e viceversa, era un gesto abituale automatico, direi inevitabilmente necessario.
Ero solita salire e scendere le rampe delle scale proiettandomi sui gradini a due a due. Scendendo, da ragazzina, a volte evitavo del tutto gli ultimi e mi lasciavo scivolare sul bordo liscio del corrimano. La cosa più divertente però era assecondare la sua curva stretta quando arrivava al piano, e io, tenendomi appena al tubo che trafiggeva il suo centro dal pianoterra fino al soffitto dell’ultimo piano, mi lasciavo andare alla velocità acquistata nella pendenza e, quasi per inerzia, giungevo all’incirca al primo metro più in basso della rampa successiva.
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Gesti # 8



La scorsa estate ho deciso di stampare, riunendola in un taccuino, una delle mie raccolte di poesie. Con l’aiuto di un amico grafico ne abbiamo curato l’aspetto, l’impaginazione e la stampa, e ne è venuto fuori un librettino che aderiva abbastanza alle mie aspettative.
Quella stessa raccolta, o meglio parte di essa, mi aveva permesso qualche mese prima di ritrovarmi fra i finalisti di un concorso promosso dalla città di Chieri che assicurava al vincitore la pubblicazione da parte di una qualificata casa editrice. Il mio percorso però non era andato oltre. Decisi allora di mandare personalmente la raccolta ad un paio di editori.
Non ricordo di preciso quali, ma ricordo che fra i tanti che pubblicano poesia la mia scelta cadde su quelle case che 1) non chiedessero soldi, 2) non pubblicassero a go-go qualsiasi cosa andasse a capo 3) fra i curatori delle collane ci fosse qualcuno che avevo avuto modo di apprezzare. Insomma cercai un certo compromesso senza mirare né troppo in alto, né troppo in basso, e decisi anche che due tentativi fosse un numero sufficiente per assecondare e accontentare la mia ambizione.
Le case editrici erano di quelle che nei loro siti online s’introducono presentando il proprio lavoro come il frutto di passione, vitalità e rispetto nonché ricerca di qualità e ostinazione nel voler dar voce alla poesia contemporanea lottando con tenacia contro i colossi della grande editoria e bla e bla e bla, e in cui le foto nel chi siamo sono sempre un po’ sfocate quasi avvolte da una nebbiolina celestiale, i volti posti a tre-quarti verso l’obbiettivo e sorridenti, mai poco mai tanto, e che sembrano sempre dire –non lasciarci svanire -. Continua a leggere “Gesti # 8”

Gesti#7

 

Oggi ho giocato un po’ a tennis. Quando ho finito, oltre a non sapere o forse non volere dare una risposta a chi vedendomi tornare a casa racchetta in spalla grondante di sudore dopo un’ora trascorsa a correre di qua e di là nel pieno della calura mi chiedeva perché, come fa ogni persona sensata, non avessi preferito starmene al mare, c’era anche un’altra cosa che mi girava in testa.
Il punto è che a tennis ho iniziato a giocare da ragazzina, ricordo molto vagamente un maestro che mi mise una racchetta nella mano, la destra, durante un’estate di chissà quale anno, e ricordo me svolazzante timidamente col bianco gonnellino plissé. Dopo quel corso estivo e dopo aver appreso i primi rudimenti ho abbandonato quasi del tutto questo sport. Quasi, perché, per puro passatempo, di tanto in tanto ho continuato a dare qualche tiro.
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Gesti #5

 

Da ragazzi, fra amici, incontrandoci non ci siamo mai dati la mano né tantomeno baciati sulle guance in segno di saluto. D’altra parte  Oscar Wilde asseriva che un bacio può rovinare una vita. Ricordo che ad un tratto eravamo lì, parandoci davanti dopo aver rallentato il passo e poi fermandoci, come fanno i tram al capolinea, come se i nostri piedi sapessero sempre dove fosse  il punto esatto  della stasi nel caos del caso. Oppure ci affiancavamo l’uno all’altro se il momento dell’incontro coincideva con una delle solite e interminabili passeggiate sul breve lungomare. Ehi. Ciao. Erano gli unici slanci a cui affidavamo la scontata e inevitabile abitudine di ritrovarci su quel mozzone di asfalto che quasi aderiva al mare. Né le cose cambiavano nel congedarci. Un ciao, e si voltava le spalle per avviarci ognuno verso la propria casa. Scomparivamo nei vicoli, nelle stradine, nei portoni come palline di un flipper spinte dolcemente in buca da quella stessa forza misteriosa che altrettanto docilmente ci avrebbe mosso l’uno verso l’altro l’indomani.
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Gesti # 4

Subway Shuffle

Alcuni giorni fa un amico nel corso di una conversazione mi ha dato, letterariamente parlando, dell’emarginata. Ho accolto questo attributo come un complimento poiché nell’ambito della discussione che stavamo avendo mi aveva inorgoglito il fatto che lui, persona il cui modo di scrivere ammiro moltissimo, avesse accomunato la sua condizione alla mia, e malgrado il valore negativo che si accompagna a quella parola essa mi era sembrata una delle cose più belle che mi sia stata detta riguardo a ciò che scrivo.

Un paio di anni fa fui invitata a far parte di un blog letterario collettivo, e seppure non molto convinta accettai. Quell’esperienza durò pochissimi giorni, alcune incompatibilità mi spinsero ad uscirne. Scrissi una cortese e-mail spiegando le mie motivazioni che fu accolta piuttosto freddamente e la cosa si concluse lì. È normale d’altra parte che fra più persone possano nascere delle divergenze e che la convivenza, seppur letteraria, possa fallire e che si senta la necessità della separazione, ma ciò che dell’episodio mi lasciò perplessa fu il fatto che, quasi istantaneamente, tutto quanto potesse riferirsi ad una mia, seppur breve, presenza nel blog fu cancellata. Le poche cose postate, il mio nome, quello del mio blog, tutto sparì. Puff… Continua a leggere “Gesti # 4”

Gesti # 3

 


Non molto tempo fa mi sono ritrovata a chiedermi quali fossero state le ultime pagine lette a cui avessi associato una percezione erotica. La domanda nasceva dalla deludente lettura di un libro di racconti “erotici” che forse aveva trovato il suo unico perché nel radunare un gruppo di soli scrittori maschi affinché raccontassero l’Eros da un punto di vista unicamente maschile, per l’appunto.
“Pene d’Amore” ha fallito fin dall’inizio nel suo intento già nel doppio senso del titolo, troppo infelicemente ludico per predispormi a una qualsiasi fantasia erotica e quindi nell’asettica lettura che ne era seguita quasi tutte le storie mi erano sembrate percorrere il solito cliché in cui il concetto di Eros e cosa potesse essere definito erotico, e quindi essere narrato, ne uscivano ancora più fumosi e sempre in bilico  fra ogni possibile interpretazione del puro atto sessuale e una sensualità troppo letteraria per essere, nella sua percezione, reale.
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Gesti # 2

Hopper_Edward_People_In_The_Sun

Di Edward Hopper si è detto che interpreta le piccole vite e che le sue tele racchiudono nel loro piccolo spazio il silenzio che le attanaglia. I soggetti da lui ritratti, seppure bloccati in un fermo immagine che li sorprende nell’intimità di uno sguardo assorto o di una apparente conversazione, appaiono sfuggire l’uno all’altro, schiacciati da un’opprimente incomunicabilità che li immobilizza e li rende estranei anche al mondo che li circonda. Ma quello che più di ogni altra cosa è messo in evidenza dalla loro staticità, spoglia di qualsiasi tensione, è la rinuncia, e la conseguente accettazione di quel senso di isolamento materializzato in una solitudine a cui sembrano predestinati e ormai condannati. Continua a leggere “Gesti # 2”

Gesti#1

  DSCN2075 

 

[…] Settembre per me è il mese delle rimozioni. Tutto avviene quasi impercettibilmente, finché ogni cosa aggiunta alla provvisorietà estiva viene rimossa. Vale per le cose, spesso anche per le persone, i sentimenti. Settembre è un limbo dell’apparenza, è il mese che più di ogni altro interpreta la nostra umana essenza, quella del passaggio. Qui, fra queste giornate che speriscono all’improvviso nella sera, anche i ricordi si smontano, si accumulano in minuscoli pezzi prima di sbiadire più o meno velocemente, finché un bel giorno si pensa al tempo come “è inverno” e il tempo ad un tratto diventa logico, razionale, fatto di cose e persone organizzate in strani quadranti che si cerca semplicemente di far combaciare, e dove i nomi, gli indirizzi, i volti appena lasciati e che si pensava vivi e vividi diventano all’improvviso inutili, roba da dimenticare. Continua a leggere “Gesti#1”