Ferdinandea o Graham Island o Île Julia

ferdinandea

Ferdinandea o Graham Island o Île Julia come si affrettarono a chiamarla rispettivamente italiani, inglesi e francesi, è una piccolissima isola formatasi all’indomani di un’eruzione sottomarina del grande vulcano sito al largo della costa sud-occidentale della Sicilia. La formazione della minuscola isola avvenne nell’estate del 1831 in un tratto di mare convenientemente strategico sia dal punto di vista militare che mercantile, e le vicende legate alla disputa delle principali potenze dell’epoca, ognuna delle quali si affrettò a reclamarne la sovranità, rendono la sua storia tragicomica, un bel tiro mancino con cui la natura si prese gioco dell’avidità  di potere e della burocrazia.
Ferdinandea o Graham Island o Île Julia infatti, a causa dell’estrema friabilità della roccia di cui era costituita, iniziò a sgretolarsi per inabissarsi completamente dopo appena un anno. Sto pensando spesso in questi giorni a Ferdinandea o Graham Island o Île Julia.

Su S/Paesamenti Stabili: Spazi Minimi

Quando arrivi al paese lo vedi così, e pensi o sei un uccello poggiato alla ringhiera da cui lo stai guardando, o sei morto, e non per quella vecchia storia della bellezza che sempre accompagna questi luoghi, ma perché sei come una anima persa, un’ombra che volteggia lo sguardo su quel vuoto inaspettato. continua la lettura qui

Su S/PAESAMENTI STABILI : S’i fosse foco

Negli ultimi anni il flagello del punteruolo rosso ha modificato i contorni di un paesaggio a cui ero abituata fin da bambina: le grandi palme, intorno alle quali tutti qui abbiamo giocato a rincorrerci, sono quasi del tutto state cancellate dai profili dei paesi, delle colline, dei giardini. La loro anima che così intimamente si accostava all’architettura della Costiera ricostruendo un oriente senza sponde e senza confini, quest’anima è stata divorata. Sono rimasti ovunque tetri monconi, sterili. È stato triste vedere uno ad uno i pennacchi verdi appassire, è stato triste il giorno in cui uno ad uno i tronchi centenari sono stati fatti a pezzi. Le scintille legnose schizzavano sotto la lama della motosega saturando l’aria di marcio. È stato triste.
Un giorno anche un pino marittimo se n’è andato. Al suo posto c’è quel che ne resta, un cerchio infisso nel selciato, un vassoio piatto e vuoto, senza ombra. Da allora guardo quelli che restano sempre con la paura che qualcuno possa un giorno decidere che quei rami fieri che galleggiano nell’aria costituiscano un pericolo, perché  no magari per la fantasia.
E poi d’estate gli incendi.   continua qui

Su S/PAESAMENTI STABILI : Dalla finestra

Per molti anni mia nonna paterna ha abitata una casa bellissima. La casa era una vecchia casa. Era grande e aveva grandi stanze messe in fila e per andare da un punto all’altro della casa bisognava attraversarle tutte. La cucina aveva una grande finestra, una dispensa e ho il ricordo di aver visto in uso il grande forno a legna e pure il ribollire nelle pentole in rame e in alluminio messe sui cerchi concentrici di ferro che formavano piastre compatte incassate nel piano in muratura che alimentate dai piccoli camini sottostanti diventavano incandescenti. Il calore necessario alla cottura era determinato dal diametro dei cerchi e poteva essere regolato aggiungendone o togliendone alcuni con un lungo ferro ad uncino. Questa operazione, oltre a quella di rinvigorire il fuoco con altra legna, veniva ripetuta più volte nel corso della preparazione dei pasti e richiedeva la presenza quasi costante di qualcuno.
La casa aveva un lindore luminoso, i letti erano altissimi, monumentali, ricoperti da coperte in pizzo o ricamate, le tende erano leggere e bianche, i soffitti erano alti e tenuamente affrescati e laddove l’umidità non era avanzata resistevano ingenui disegni floreali e ghirigori, i pavimenti erano sempre tirati a lucido e suonavano note acutissime e cristalline nelle zone in cui le mattonelle erano sconnesse. Era divertente camminarci sopra, così come bisognava ricordarsi di evitarle nel caso qualcuno riposasse. […]continua la lettura qui

da : Piccola Biografia Apocrifa (3)

Le terrazze

nel fuggire delle stagioni alcune cambiano i colori
scrivono a intermittenza luci buon natale o fiori
in altre il passare degli anni dura tutto l’anno
scrivono vita o addio con le lenzuola,
e maglie  e  camicie stese
fili tesi da muro a muro,  aria stropicciata 
qualche molletta a trattenere
cosa è un’altra storia, si sa solo che accade
mattino presto, da stagione a stagione
e non è roba per poeti né per narratori

Certi tramonti: Capo di Conca

adesso la mia vista non è più la stessa
anche mio padre prima di morire già quasi non ci vedeva
e penso spesso che per me sarà lo stesso
ma ci sono volte che sento come un vento
che mi arriva
come fanno certi tramonti sopra il Capo di Conca
un rotolare di seta sulle lingue di roccia, tutto l’umano da dire
sparisce, mi fa un sollievo fresco sulla superficie degli occhi

Amalfi

la dico qui perché oggi i paesi sono paesi
solo quando finiscono nei libri
e s’affolla di parole una commozione storta
una nostalgia giovane intorno ai tanti sepolcri vuoti
io l’unica volta che ci sono nata
mi è appartenuto il silenzio dei pittori, quelli minori
la ressa disincantata del mare di una notte di dicembre
alla finestra del Marina Riviera, il rimpianto di mia madre
di non poter mangiare i dolci della festa
piccole cose, che ci vuoi fare…

Piccola Biografia Apocrifa

Piccola Biografia Apocrifa(2) 

da : Piccola Biografia Apocrifa (2)

minori

che il paese sia così piccolo
e le strade così brevi
lo capisci ai funerali
quando ad una ad una calano
saracinesche e le persiane.
Il paese è ancora tutto lì:
sguardi grandi fra le fessure
nel ribalzare dei rumori, da muro a muro
l’ultimo mormorio da dare ai morti

La piazza

a questi tavoli, la piazza
si passano i bicchieri, le tazze
i giovani nuovi come scettri, poi
si ritorna da vecchi
le gambe larghe nello sfiato di vita.
Nell’aria è sempre la stessa voce alta
a mimare l’allegria di un eterno:
come se non ci avesse ancora mai tradito

Via G.Amato

dietro, una volta, c’era un giardino di limoni
poi non c’era più
d’inverno sotto i teli scuri
d’estate sotto la trama delle foglie
passavano le ombre delle mie paure
poi non c’era più
e fu un guardare dalle cucine
ombre dietro le tendine
il pudore esposto dei panni stesi, a tu per tu.

Le scale

adesso ci sono volte
che il crespo di queste colline mi commuove:
quel modo in cui nel ruvido della roccia
s’incrostano le scale
quel loro fare paziente
lento
come resina che cola,
un volo rattrappito
verso l’immaginazione di un cielo.
A quindici anni era il solo tutto da essere
e non mi bastava

Piccola Biografia Apocrifa

P.P Pasolini: da- La lunga strada di sabbia

 

[…]Lascio la strada sul mare, e mi arrampico su, tra colline fitte di pergole di vigneti, di fichi d’India, più verdi del verde. Ecco a sinistra Scala, e, dopo un’ultima curva da vertigini, una piazzetta con una fontana moresca: sono a Ravello.
Sbaglio tutto: contrariamente al solito, che indovino subito dove devo andare, prendo, a sinistra anziché a destra, lasciata alla fontana moresca la macchina. E vado per un paese anonimo, in fondo, che si allunga come una serpe sulla cima stretta d’un monte: eppure c’è qualcosa di nobile, di misterioso, intorno. Sento puzza di novità. Arrivo in capo alla striscia di paese. “Ma gli alberghi, dove sono?” chiedo a delle donne sedute sui gradini rosicchiati delle povere case.
“Non stanno qui! – fanno, smarrite, dolenti, dolci. – Stanno dall’altra parte!” Ridiscendo di corsa la lunga strada, sorpasso la fontana, e entro, dall’altra parte, nel vero paese. Lì ho passato le due ore più belle di tutto il viaggio, e, sicuramente, tra le più belle della mia vita. È venuta quasi l’ora del tramonto, intanto, e il sole, ancora limpido carico, rade le cime delle colline dense di piante pure, secche, nette come cristalli e insieme piene di umile tenerezza. Continua a leggere “P.P Pasolini: da- La lunga strada di sabbia”

Ah! : Le donne dell’Est

[…] Le donne dell’Est sono estratti di un passato che qui non ha mai lasciato queste strade. Hanno mèches percorse da una punta di giallo oro sfiammato di rossoviola che somiglia alla malinconia immobile che è anche nel resto delle cose. Scorrono dentro come un semplice memento alla bellezza per noi che da qui da un passato non ci siamo mai allontanati e per questo non abbiamo termini per farne adesso una questione di frontiere. Continua a leggere “Ah! : Le donne dell’Est”

Gesti #10


Pioverà. L’alzarsi del vento è di quell’indefinibile inquietudine e sollievo che mi prende ogni volta che ritorno qui, anche se questo è il mio paese di cui ogni giorno posso guardare i filamenti nelle sue ultime case che arginano il brusco della roccia. Sembra quasi siano lì solo per impedirle di rovinare in mare. E nei pennelli puntuti di verde scuro dei cipressi che sbavano nel verde chiaro dei filari dei limoneti. Il resto è un qualcosa immaginato e familiare nascosto e rappreso dietro la curva che sale.
La pioggia ora è più che una minaccia, anche se ancora sospesa in un – forse pioverà.- M’incammino verso le luci del palco. Il vento rafforza. Gonfia l’impalpabile scenografia dei teli leggeri, bianchi e neri, tagliando il buio della sera come un mare di Milton Avery.
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Piccola Biografia Apocrifa

                      

                                 “Nacqui lenta,
                 senza pretese
                                                                                        in una camera d’albergo
                                                                                 che spingeva l’occhio
                                verso
                                                   il mare.
                   Nacqui appena,

                                                                                  come il ritirarsi di un’onda,
                             senza suono.”

 

 

Torre Paradiso

Io, lo ricordo a stento l’assedio
del mare dirimpettaio
alle pietre di Torre Paradiso
mentre cercava il suo orizzonte
tra i punti a croce disegnati dalle finestre.
Io, lo guardavo,
                        (lo dice mia madre)
lo guardavo con le gambe penzoloni
fra i ferri sottili delle ringhiere
mentre d’estate la scossura delle due
bruciava fra il sale e il muschio delle tegole grigie,
e sotto la marina.

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Sa Sardinna : Silenzi

0z

potrei tornare ad essere
selvatica, primitiva
pisciare dietro l’angolo di un muro
potrei farmi crescere i peli delle ascelle
o mettermi accovacciata contro un uscio
e sarei una donna, femmina di questo futuro
ma se solo dicessi una parola
una sola
crollerebbe tutto il paese.
Qui anche le fondamenta sono fatte di silenzio
e questa mia poesia è la pazzia.

Sa Sardinna : Case

03

Sono rimaste poche ombre
delle tegole storte
colate sul grigio dei gusci,
smerlano la storia muta delle case.
Resta qui e là qualche uncino arrugginito
delle finestre, ad arpionare l’aria
sottile sottile:
le punte che bucano un vuoto
così vuoto
che anche il silenzio
se n’è andato via.
Scrivo come se
fossi anch’io
un pezzo, un mattone
tolto alle ore
come se ad un tratto
mancassi anche a questa debolezza
dei muri,
scrivo in questo pugno di vento
legato al niente e
anche scrivere è
leggero leggero.
Come un lenzuolo steso
aspetta che il tempo lo asciughi,
il ricordo lo cancelli

Sa Sardinna : I vecchi

02

 

Qui i vecchi non parlano
raschiano dalla gola boli
di antichi addii
densi come universi
che sputano per terra
come fanno gli dei.
Se ne stanno seduti e
reggono sul filo delle schiene
lo squadro dritto dei muri
per quando verrà la sera
a sagomare le ombre
e i loro contorni
da lasciare in testamento : i vecchi,
la morte li disegnerà a figura intera
nella piazza del paese
i più fortunati avranno anche un volto.