Piccola Biografia Apocrifa

                      

                                 “Nacqui lenta,
                 senza pretese
                                                                                        in una camera d’albergo
                                                                                 che spingeva l’occhio
                                verso
                                                   il mare.
                   Nacqui appena,

                                                                                  come il ritirarsi di un’onda,
                             senza suono.”

 

 

Torre Paradiso

Io, lo ricordo a stento l’assedio
del mare dirimpettaio
alle pietre di Torre Paradiso
mentre cercava il suo orizzonte
tra i punti a croce disegnati dalle finestre.
Io, lo guardavo,
                        (lo dice mia madre)
lo guardavo con le gambe penzoloni
fra i ferri sottili delle ringhiere
mentre d’estate la scossura delle due
bruciava fra il sale e il muschio delle tegole grigie,
e sotto la marina.

Continua a leggere “Piccola Biografia Apocrifa”

Senza titolo #5

Sapere dire altro, in un altro modo
fare del qui l’adesso come quando
qui era il posto certo, l’aderenza dell’ora
all’aria, il fuggire del mare senza incroci
al morso del destino, e sul finire delle sere era qui
anche l’esserci, e le stelle erano così lontane:
non c’era verso di contarle né d’interpretarle
e l’averti e il non averti era un fifty-fifty
come tutto del resto. Qui e adesso.

Senza titolo #7

Pioverà. Perché è questo che accade
quando ogni fine sfuma nella fine.
Pioverà come è nella tradizione
come quando muoiono gli eroi.
Il cielo farà una giravolta
un salto mortale e il cuore della terra
smetterà di battere,
una finestra farà un ultimo saluto
agitandosi nel vento poi si chiuderà di colpo
al peso della prima goccia
il verde delle foglie evaporerà nell’aria
il mare si farà infinito
e non sapremo più in quale posto andare
né cos’altro dire.
E allora pioverà. Pioverà per sempre.

Senza titolo # 14

piacsso - girl before a mirror

poi si dimentica senza più la paura di dimenticare
come quando si sa
che ormai è inutile cambiare l’acqua ai fiori
e nell’aria c’è un resto di odore
che non commuove
e che assorbe anche il creparsi dei colori
si dimentica
si dimentica la chiara assenza della voce
tappando le fessure con un altro futuro a farci compagnia
e si fa l’inverno sul nudo delle caviglie
con lo schizzo di una pozzanghera senza il gelo dell’asfalto
si dimentica tutto
anche il suono che c’è nelle strade
quando stiamo vicini a dirci il niente delle parole
come un noi riflesso dal riflesso delle vetrine

Senza titolo # 22



ho gli occhi che mi bruciano a furia di cercarti
e perfino queste quattro strade messe in croce
mi sembrano infinite e non mi porteranno a niente
cammino sotto i muri come una ladra
e perdo frammenti delle dita ogni volta
che mi sembra che in una crepa di un mattone
si nasconda una carezza tua non ancora svanita
ho perso la mia ombra a furia di cercarti
e anch’io svanisco a poco a poco

Senza titolo #12


mi sarei fatta palazzo,
grattacielo di cento piani
e tante scale,
un corrimano d’ottone lucente
via -vai di gente
mi sarei fatta cemento e marmo
grigia e fredda, senza un suono
solo per guardarti passare fra la folla

Senza titolo #3

fra le gocce dei fari, le automobili
la strada e il silenzio delle insegne
fu il pensiero di quell’unica carezza,
fu quel moto di rivoluzione
quel segno d’indipendenza
della tua mano sulla mia guancia
a salvarmi quella sera
dall’affogare nell’asfalto,
e quell’estro sfuggito chissà come dalle tue dita
avrei potuto anche -forse- chiamarlo amore
se avessi imparato come si nuota nelle città

Una poesia metropolitana

hans-hartung.jpg

 

A volte vorrei avere una città dove stare. Una qualunque.
Immensa, un rebus di cemento. Una città rompicapo
che prema sulle mie tempie. Vorrei averla quando qui piove
ed è notte. Come oggi.  Come ora. Gli aghi dei mille palazzi.
Il filo teso dell’asfalto. Un nodo che attanaglia dietro le finestre.
E la mia ombra che si frantuma nelle pozzanghere,
sotto le ruote delle macchine. Di questa pioggia ne farei
una poesia metropolitana, un tram che arriva al capolinea,
lo stesso rumore come se non ci fosse  nessuna luce
d’aspettare né un buio da salvare. La farei dura, violenta,
senza respiro, amara e corrosiva. Come del sesso fatto in fretta,
e che si ribella, e stride quando tocca il fondo così tutti possono sentirla.
Le farei cantare come un ubriaco una canzone sconcia, e dire chissenefrega
con arroganza a chiunque si lamenti. E le farei urlare la solitudine
nelle luci delle vetrine. E sputare in terra tutta la rabbia
tutta la delusione. Invece sono qui che guardo il mare
e la pioggia impotente che finisce nel suo vuoto.
È vetro sottile che si rompe. È acqua nell’acqua
senza un malocchio da sciogliere, senza un suono che la maledica,
senza un tempo che la ricordi come era prima di svanire
e che neanche sa quanto mi somiglia
questa notte questa pioggia questa poesia

Bologna

quella volta che c’arrivo
è dopo
e s’è fatto già in un settembre,
bruno, acre come di fuoco acceso
pulito
come se fosse di nessuno.
L’approssimarsi alla stazione
è un silenzio inutile
che sbatte contro la vena viva.
Il piede quando tocca terra
ha un rumore pieno, malgrado tutto osceno e denso
come di corpo intero.
Lo sguardo è di giullare
suona tutti i giorni che arrivano scanditi
uno ad uno negli annunci dei ritardi.
Mille attimi ?
Mille attimi
riflessi nel varco degli ultimi gesti insignificanti,
invisibili e fermi
come un vuoto scoperchiato all’improvviso.
Lo attraverso in fretta.
L’ordine dentro le valigie ha un bagliore,
un colore come di metallo fuso
nitido
come un giorno che sa di essere ancora un giorno