Tag: amicizia
Gesti #5
Da ragazzi, fra amici, incontrandoci non ci siamo mai dati la mano né tantomeno baciati sulle guance in segno di saluto. D’altra parte Oscar Wilde asseriva che un bacio può rovinare una vita. Ricordo che ad un tratto eravamo lì, parandoci davanti dopo aver rallentato il passo e poi fermandoci, come fanno i tram al capolinea, come se i nostri piedi sapessero sempre dove fosse il punto esatto della stasi nel caos del caso. Oppure ci affiancavamo l’uno all’altro se il momento dell’incontro coincideva con una delle solite e interminabili passeggiate sul breve lungomare. Ehi. Ciao. Erano gli unici slanci a cui affidavamo la scontata e inevitabile abitudine di ritrovarci su quel mozzone di asfalto che quasi aderiva al mare. Né le cose cambiavano nel congedarci. Un ciao, e si voltava le spalle per avviarci ognuno verso la propria casa. Scomparivamo nei vicoli, nelle stradine, nei portoni come palline di un flipper spinte dolcemente in buca da quella stessa forza misteriosa che altrettanto docilmente ci avrebbe mosso l’uno verso l’altro l’indomani.
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Gesti # 4
Un paio di anni fa fui invitata a far parte di un blog letterario collettivo, e seppure non molto convinta accettai. Quell’esperienza durò pochissimi giorni, alcune incompatibilità mi spinsero ad uscirne. Scrissi una cortese e-mail spiegando le mie motivazioni che fu accolta piuttosto freddamente e la cosa si concluse lì. È normale d’altra parte che fra più persone possano nascere delle divergenze e che la convivenza, seppur letteraria, possa fallire e che si senta la necessità della separazione, ma ciò che dell’episodio mi lasciò perplessa fu il fatto che, quasi istantaneamente, tutto quanto potesse riferirsi ad una mia, seppur breve, presenza nel blog fu cancellata. Le poche cose postate, il mio nome, quello del mio blog, tutto sparì. Puff… Continua a leggere “Gesti # 4”
Il destino di un libro
Solo di recente sto iniziando ad avere percezione di quale possa essere il fascino che alcuni libri riescono ad esercitare e perché esiste un mercato di collezionisti del libro. Il primo “fremito” l’ho avvertito all’incirca un anno e mezzo fa quando, leggendo le note biografiche di Jack Spicer, scoprii che lui stesso spesso auto-produceva le sue raccolte in quantità minime, copie che amava poi distribuire agli amici. Ne curava l’aspetto grafico, disegnava la copertina, le numerava talvolta con numeri e lettere. Di After Lorca, ad esempio, ne furono stampati solo cinquecento esemplari dalla White Rabbit, di un paio di quelle prime ne ho trovato le tracce, tramite internet, in alcune librerie americane specializzate in libri antichi e rari, una delle due potrebbe essere fra le mie mani per la “modica” cifra di mille e passa dollari.
Non credo che potrà finirci, però per un po’ ho assaporato quel gusto che pensavo potesse appartenere solo a qualcosa di unico, come potrebbe essere un dipinto, una scultura. Continua a leggere “Il destino di un libro”
Un bene contenuto
Ieri finalmente mi sono stati recapitati alcuni libri che aspettavo. Non ho scartocciato subito il pacchetto che è rimasto per un po’ ben sigillato sul tavolo. Credo sia una mia abitudine allungare i tempi, è come se adottassi per certe cose una specie di sabato leopardiano con cui “orno” la quotidianità per prolungare la fanciullezza che è racchiusa in ogni cosa prima che si sveli.
Poi il momento è giunto e finalmente mi sono messa tranquilla a sedere nella mia stanza con i libri fra le mani. Ho cercato subito le poesie che avevo intenzione di tradurre. Le avevo sentite già dalla voce del poeta ma dall’audio non avevo compreso alcuni versi, e le ho lette con attenzione cercando conferma di quel piacere provato nell’ascolto. Poi, sfogliando qui e là, ne ho lette altre ma molto rapidamente, lasciando alcune lacune laddove di alcuni termini mi sfuggiva il significato e avevo bisogno di controllarlo sul dizionario, di qualche altra mi sono detta entusiasta – bellissima, traduco anche questa per il mio blog –
Quando la soglia di concentrazione si è abbassata ho interrotto la lettura, ma mi sono soffermata sulla copertina di uno dei libri. È una bella foto in bianco e nero che ritrae in primo piano un giovane uomo che stringe sotto il braccio quella che mi è subito sembrata la custodia di una tromba. Alle sue spalle un ragazzino e un uomo aspettano la metropolitana. È una gran bella foto. Mi piacciono le vecchie foto in bianco e nero, e quella valigetta nera mi ha incuriosita. Sono andata perciò a cercarne l’autore sul retro del libro. Il giovane uomo è il trombettista jazz Don Cherry e la foto è di Ole Brask. Continua a leggere “Un bene contenuto”
Dediche : A Jack Spicer
Conversiamo a lungo, sommessamente
l’uno di fronte all’altro quasi cercando
l’urto delle parole
il suono cieco dell’impatto,
l’aprirsi delle onde magnetiche che provengono da Marte
io ci sto bene qui, ti dico,
Summer is over
sì, ci siamo divertiti
fuori dal prezzo della poesia e dal vezzo della compassione
e ti amo quasi, senza la perdita che c’è
in ogni parola amore (manomessa)
poesia (manomessa)
vita (manomessa)
cazzo (manomessa)
e allora ti amo
amo la tua morte
che mi parla dell’innocenza che c’è
quando con segnali radar
conversiamo a lungo, sommessamente
l’uno di fronte all’altro cercando
l’urto delle parole
il suono cieco dell’impatto,
l’aprirsi delle onde magnetiche che provengono da Marte.
È qui che io sto bene, ti dico
Alive Poets Society
Ma poi qualcosa accadeva
che non avevamo considerato.
Prima fu la distanza fra Algenib e Markab,
poi fu la coscienza del buio che le circonda.
Ed era proprio lì che intanto passavano le nostre vite
nell’intreccio mobile dell’accadere
in cui si scoperchiava la vera misura degli anni luce,
la dispersione inesorabile delle superbe nostre piccole cose
dei gesti oscuri che facevano rumore nelle cucine,
della polvere che si posava
e di tutto quanto abilmente tacevamo
del fluire del tempo, che dipingevamo invece impigliato
nel sollievo di qualche conversazione di noi
in cui amavamo fingerci peggiori, a volte migliori
per mascherare ogni presunzione
scambiandoci, noi stessi, illusorie promesse
che non riuscivamo a mantenere e
aggraziati arrivederci in qualche punto di Pegaso
e così ciechi alla notte
da non domandarci neppure com’ era che continuassimo a perderci
senza avvertire alcun dolore
né perché l’aver scritto miliardi di versi,
nonostante tutto non ci rendesse, nella realtà, migliori.
Ricordi
Di certo saprei ancora essere più di così.
Lo dicono i biglietti del cinema,
dell’ultimo autobus delle 10.30,
i piccioli di quelle ciliegie che ingialliscono
le pagine scritte con i colori degli umori
nel buio, tra i vecchi maglioni,
tra i nidi delle cinture
si dicono – mi ricordo-
ed è un ricordo buono
e se ancora sono lì,
i biglietti, i piccioli, il buio
è perché a volte mi sembra che quel ricordo di me
possa da un momento all’altro ritornare
Sguardi
Le ore sottratte
Continuavamo a ripeterlo da mesi che sarebbe accaduto
gli altri, quelli che morivano preparavano il lutto.
Dalla stanza sentivamo le saracinesche
che ringhiavano su e giù, e intanto era
la conta dei lividi, l’esatta posizione di ogni nuova cicatrice,
le briciole nei piatti, i sorsi di silenzio di queste ore sottratte
i passi sempre più brevi, sempre più lenti, sempre di meno.
Ogni cosa era annotata, distribuita all’ingrosso
all’ingrasso degli ingranaggi che muovevano le nostre vite:
nulla andava sprecato,
tutto aveva un suo scopo, anche morire la vita lentamente.
Sensi
Avrei almeno quattro cose
che potrebbero confermare la mia presenza:
il ronzio sull’orlo delle orecchie
l’odore dello smalto appena steso sulle unghie
la saliva che piano piano secca amara lì, sul fondo
dove dovrebbero esserci dei suoni
la mia mano che passa ora tra i capelli
ma è poi la vista che fallisce
– sono io tutto questo?-
Leggo qualche e-mail, F. dice che sta male,
M. mi rimprovera gli anni di silenzio, leggo
il vuoto, mi dà del tu,
è a me che parla, è di me che pensa
mi sembra anche che la mia testa annuisca
leggo ancora, da cima a fondo,
dal mio nome scritto in alto
fino all’affetto dei saluti
– ti abbraccio-
ma neanche questo serve
Dead Poets Society
Pensavamo che sarebbe passato del tempo
prima di dimenticare.
Ore, giorni, mesi, anni, un’era vagamente geologica
che avrebbe impiegato millenni per finire, e seppellirci.
Abbiamo organizzato una sorta di resistenza,
ricopiando con cura ogni minimo gesto,
lasciando nelle crepe dei muri citazioni di illustri scrittori,
mozziconi di sigarette sull’asfalto, impronte
sulla vernice delle panchine, facevamo preventive ricostruzioni
della nostra assenza da cui ci salvavamo a vicenda
rimettendoci esattamente dentro i contorni di gesso bianco
annebbiavamo l’aria con milioni di suoni,
ovunque, ovunque lasciavamo tracce,
ma non è servito a nulla
ci siamo estinti come dinosauri,
in una sola notte senza un preavviso, una ragione
Martini doppio
Ma nel silenzio che imbruna
dico lettere agli amici
come memorie
di me
che non sono
mai accadute(?)
Fiori
Senza titolo # 14
poi si dimentica senza più la paura di dimenticare
come quando si sa
che ormai è inutile cambiare l’acqua ai fiori
e nell’aria c’è un resto di odore
che non commuove
e che assorbe anche il creparsi dei colori
si dimentica
si dimentica la chiara assenza della voce
tappando le fessure con un altro futuro a farci compagnia
e si fa l’inverno sul nudo delle caviglie
con lo schizzo di una pozzanghera senza il gelo dell’asfalto
si dimentica tutto
anche il suono che c’è nelle strade
quando stiamo vicini a dirci il niente delle parole
come un noi riflesso dal riflesso delle vetrine