da : Piccola Biografia Apocrifa (3)

Le terrazze

nel fuggire delle stagioni alcune cambiano i colori
scrivono a intermittenza luci buon natale o fiori
in altre il passare degli anni dura tutto l’anno
scrivono vita o addio con le lenzuola,
e maglie  e  camicie stese
fili tesi da muro a muro,  aria stropicciata 
qualche molletta a trattenere
cosa è un’altra storia, si sa solo che accade
mattino presto, da stagione a stagione
e non è roba per poeti né per narratori

Certi tramonti: Capo di Conca

adesso la mia vista non è più la stessa
anche mio padre prima di morire già quasi non ci vedeva
e penso spesso che per me sarà lo stesso
ma ci sono volte che sento come un vento
che mi arriva
come fanno certi tramonti sopra il Capo di Conca
un rotolare di seta sulle lingue di roccia, tutto l’umano da dire
sparisce, mi fa un sollievo fresco sulla superficie degli occhi

Amalfi

la dico qui perché oggi i paesi sono paesi
solo quando finiscono nei libri
e s’affolla di parole una commozione storta
una nostalgia giovane intorno ai tanti sepolcri vuoti
io l’unica volta che ci sono nata
mi è appartenuto il silenzio dei pittori, quelli minori
la ressa disincantata del mare di una notte di dicembre
alla finestra del Marina Riviera, il rimpianto di mia madre
di non poter mangiare i dolci della festa
piccole cose, che ci vuoi fare…

Piccola Biografia Apocrifa

Piccola Biografia Apocrifa(2) 

da : Piccola Biografia Apocrifa (2)

minori

che il paese sia così piccolo
e le strade così brevi
lo capisci ai funerali
quando ad una ad una calano
saracinesche e le persiane.
Il paese è ancora tutto lì:
sguardi grandi fra le fessure
nel ribalzare dei rumori, da muro a muro
l’ultimo mormorio da dare ai morti

La piazza

a questi tavoli, la piazza
si passano i bicchieri, le tazze
i giovani nuovi come scettri, poi
si ritorna da vecchi
le gambe larghe nello sfiato di vita.
Nell’aria è sempre la stessa voce alta
a mimare l’allegria di un eterno:
come se non ci avesse ancora mai tradito

Via G.Amato

dietro, una volta, c’era un giardino di limoni
poi non c’era più
d’inverno sotto i teli scuri
d’estate sotto la trama delle foglie
passavano le ombre delle mie paure
poi non c’era più
e fu un guardare dalle cucine
ombre dietro le tendine
il pudore esposto dei panni stesi, a tu per tu.

Le scale

adesso ci sono volte
che il crespo di queste colline mi commuove:
quel modo in cui nel ruvido della roccia
s’incrostano le scale
quel loro fare paziente
lento
come resina che cola,
un volo rattrappito
verso l’immaginazione di un cielo.
A quindici anni era il solo tutto da essere
e non mi bastava

Piccola Biografia Apocrifa

Piccola Biografia Apocrifa

                      

                                 “Nacqui lenta,
                 senza pretese
                                                                                        in una camera d’albergo
                                                                                 che spingeva l’occhio
                                verso
                                                   il mare.
                   Nacqui appena,

                                                                                  come il ritirarsi di un’onda,
                             senza suono.”

 

 

Torre Paradiso

Io, lo ricordo a stento l’assedio
del mare dirimpettaio
alle pietre di Torre Paradiso
mentre cercava il suo orizzonte
tra i punti a croce disegnati dalle finestre.
Io, lo guardavo,
                        (lo dice mia madre)
lo guardavo con le gambe penzoloni
fra i ferri sottili delle ringhiere
mentre d’estate la scossura delle due
bruciava fra il sale e il muschio delle tegole grigie,
e sotto la marina.

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Geometrie d’autunno

 

-Lo vedi questo sabato come s’azzuffa con le foglie?-
ed io mi ero messa mani di pianista
per battere sui tasti lo stesso vento nella stanza
ma dentro e fuori di qui, oltre le foglie il vento il sabato d’autunno
ci sono solo strade, così mute e brevi,
così sghembe, troppo anche per far quadrare le geometrie dei versi

Bye Bye baby

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Solo quando sarò vecchia,
vecchia di tutti gli anni che mi sono spettati
allora potrò parlare di questi posti.
La mia faccia sarà percorsa da sentieri sbrecciati dal tempo
incisi come questa terra di roccia lo è dal vento.
Saranno viottoli in salita per dita dissolte o
troppo stanche per andare e
dalla mia pelle sottile
quasi trasparente
trasuderà l’anima che ne avrò ricevuta:
avrà profumo di mare e di limoni.
Quando ne parlerò sarà iniziato già l’inverno
avrò calze di lana pesante a coprire le gambe magre
asciutte ormai da ogni tensione.
Sarò seduta su questa poltrona verde
e la finestra sarà chiusa e le tende ben accostate
perché non avrò più bisogno di guardare
né per dire e né per ricordare
Le luci saranno spente
ci sarà buio e silenzio
e in quel silenzio la mia voce sarà strada
e sarà racconto e
inizierà nel calore di un braciere
nella cenere smossa nel gesto antico che ondula le zolle
ci sarà lo sfrigolio delle bucce di mele e di arancia
l’aroma dolciastro appiccicato alle pareti
e ci sarà una stanza
i grandi balconi, e leggere tende di lino bianco
aperte in un canto muto ad ogni giorno di vento.
Ci saranno i suoni dei passi
io bambina
il picchè rosa che si gonfia in un salto
la nota cristallina della mattonella sconnessa
la quinta da destra sulla quarta fila,
la stessa nota che stasera intona “Bye Bye Baby…”
con lo stesso cancro d’amore di allora.

Bologna

quella volta che c’arrivo
è dopo
e s’è fatto già in un settembre,
bruno, acre come di fuoco acceso
pulito
come se fosse di nessuno.
L’approssimarsi alla stazione
è un silenzio inutile
che sbatte contro la vena viva.
Il piede quando tocca terra
ha un rumore pieno, malgrado tutto osceno e denso
come di corpo intero.
Lo sguardo è di giullare
suona tutti i giorni che arrivano scanditi
uno ad uno negli annunci dei ritardi.
Mille attimi ?
Mille attimi
riflessi nel varco degli ultimi gesti insignificanti,
invisibili e fermi
come un vuoto scoperchiato all’improvviso.
Lo attraverso in fretta.
L’ordine dentro le valigie ha un bagliore,
un colore come di metallo fuso
nitido
come un giorno che sa di essere ancora un giorno

Klingsor Bar: un pomeriggio a Ravello

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Ripenso alla montagna, alla sua gola
che si apre in un sesso di mare,
alle case ferme in un rivolo stanco.
Sulla piazza il venire delle foglie
smuove l’usura dello sguardo
in un tramonto che strappa il viola dai muri
come un ultimo tenero abbraccio