Oggi che il cielo preme l’aria sul mare fino a disegnarlo senza più orizzonte, e lo fa impalpabile come l’apparenza di una coincidenza che mi attraversa per caso. Oggi che anche le tende hanno perso il vento e restano rigide come morte. Sgonfie. Come palloncini in attesa di una mano innocente che le salvi da un’inerzia di terra. E ora che siamo qui – lo senti il tempo?- puntando l’ago nel tessuto di quest’istante, vorrei dirti che l’amore è come il tempo – è come la pioggia – Cade sottile e fa rumore solo quando batte sulle cose e le riconsegna al termine di un’attesa in cui riposa il mondo. Traccia ogni linea, riempie ogni vuoto, e poi ti fa credere che quello che vedi era già qui per te e resterà qui per sempre.
Ma tutto è un inizio che continua in un altro inizio che qualcuno ha lasciato andare.
Amare è un disordine selvatico. È senza ossa.
che si agita nelle simmetrie delle tue gambe
e le spalanca in un amore indenne che distilli a gocce
perché non resti negli occhi nessun ricordo
come in un autunno senza foglie.
E con la stessa delusione che si avventa sul mare
L’amore è una stanza dentro una stanza che già conoscevi
dove il quadro squadra le finestre
in un’ora nuova che colpisce i vetri
E il sesso è il suono di una porta che si chiude
e grandi pareti bianche. – ecco, ho le chiavi –
Ci si perde nelle stanze? ti chiedi,
Quando lo guardi c’è qualcosa che si dissolve,
forse sono i suoni di un pensiero d’olio che si rompe
Non sai più quanto di lui potrai sentire ora,
allora aggiungi una parola alle altre,
a quelle che credevi di aver capito e la scrivi sul muro che si spalanca
per farti ricordare dove tutto è iniziato
e poi la guardi oscillare tra una stagione di sole
che invade col silenzio ogni bianco delle lenzuola.
Lo spazio che percorre è un candore torbido che ti travolge.
Ti scorre sotto i piedi. Ti avvolge le caviglie.
Perché tutto inizia dal basso di un altro luogo
che non era già tuo anche se non lo sapevi.
Ti appoggi al legno della porta
e aspetti che lui t’insegni su quale mattonella dovrai trovare l’equilibrio.
Il sesso è una posizione della mente che ti guarda da un’altra distanza.
Cambia le sequenze, le frammenta, le nasconde in lettere inverse
che scorrono sul display in un’immagine che dentro di te diventa immobile,
come un sentimento che ti contende al tempo
e intanto tu cominci a muovere un passo alla volta per non cadere dagli orli.
E quello che senti quando la tocchi è qualcosa nella pelle
che si concentra in un solo punto,
una nota che non sapevi di avere
e allora senti ogni parte di te infilarsi nella tua mano che si stende.
Poi ti metti sulla sua terra come miele sul pane e dici la prima sillaba
passandogli un dito fra i solchi che uniscono l’attimo all’attimo all’attimo.
Ecco, pensi, scaviamo insieme la prima parola.
E cerchi di fare attenzione a restare dentro gli spazi, a non sfiorare le righe
ma poi ti accorgi che è facile ricalcare i segni già messi in evidenza e
aggrapparsi al vivo degli spigoli come ad una roccia da scalare.
I punti di appoggio sono piccoli incavi che riconosci
mano a mano nell’equazione del movimento
quando la schiena si ricurva ad uncino
che infila l’aria e la ferisce di un piacere schiuso
mentre ti sorregge come un burattino che sorride.
L’incognita è il modo in cui riuscirai ad inventare il tuo nuovo nome
senza staccare la mani dal suo corpo guardandolo dritto negli occhi.
E quando mi vuoi inizio dalla fine. Dall’ultimo bottone. Dall’unghia del piede.
Lui per trovarti segue la scia del tuo profumo- che buon profumo che hai-
ed è già un altro luogo che si apre,
in cui ci si riconosce dagli odori.
Il tuo corpo steso si ricorda a pezzi. Uno alla volta. Senza più altezze. Senza più larghezze.
Solo gli occhi vanno a due a due.
Ad intermittenza. Per confondere la storia che si proietta sulle pareti.
Il respiro invece a malapena smuove l’aria. Non c’è spazio. Non c’è spazio.
La voce è una macchia che si spande sulle lenzuola.
Domani non ce ne sarà più traccia.
– conosco vite in continuo allestimento-
Lui allora ti entra dentro nel lato del sorriso. Ancora una volta.
come si accostano le tende, per non farsi guardare dentro.
e poi ti sleghi come un nastro – ancora- e tagli a dritto filo un bacio
che lasci colare dall’indice sulla sua bocca -ancora–
La carezza che lui ti versa sulla coscia è una superficie di cenere
come d’asfalto e combacia alla pelle. Perfetta. Come quando arriva una fine.
Tu invece arrivi solo ai bordi con la tua mano
e quello che senti è una mancanza di te così enorme
che quando ti sporgi verso l’oscurità riesci quasi a toccarla
– è tutto ciò che sono – ti dici, e quello che vedi
è solo la tela ruvida del tuo respiro nell’aria
che si fa di cristallo in una bolla di tensione
in cui sparisci come l’immagine di un punto che sta tornando indietro
lì, dove era già stato affinché accadesse.
E si fa nuovamente buio intenso e calmo e vuoto
come una notte che dipingi ad occhi chiusi
e la fai bella e chiara ed esatta come la pensavi ad ogni tuo ritorno
ad ogni istante della tua pelle
fuori dall’apparenza che vigila sul tuo corpo
e che ti tiene stretta al tempo delle cose.
Vorrei che tu m’incontrassi ora.
Vorrei che tu mi ascoltassi ora. Ora. Quando il sonno rimette dentro di me ogni cosa al suo posto.
Quanta tensione crea, questa dislessia…
me ne ha creata scrivendola, e forse un po’ di quella che sentivo è passata. era ed é un punto di frattura da cui poi ho ricominciato.
grazie rodolfo. il tuo commento sulla dislessia mi è particolarmente caro.
ciao
lisa
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